Editoriale

Prevale la negazione del global warming

Tanto tuonò che piovve… A forza di dire che Donald Trump non sarebbe mai stato eletto è finito ad essere il 45° successore di George Washington su quella che viene considerata, a torto o a ragione, la poltrona dell’uomo più potente della Terra.

Gli americani hanno scelto di farsi governare e rappresentare da una sorta di cugino cafone, di quelli che li inviti a pranzo a Natale per pura formalità sperando che a metà del desinare non si metta a togliersi dai denti i resti di cibo usando i rebbi della forchetta.

Nulla di nuovo, già Ronald Reagan non è che si presentò sul proscenio internazionale come un damerino ottocentesco. Anche lui aveva le sue spigolosità, i suoi eccessi ed una vera e propria fobia per le metafore. Eppure il mondo lo ricorda come il Presidente che sconfisse il comunismo. Non che i comunisti reali non ci avessero messo del loro…però si sa c’è sempre qualcuno che da la spallata finale.

Questa storia però è diversa, più subdola e, se vogliamo, anche più intrigante. Questa, che tutti definiscono la sconfitta di Hillary Clinton è, in tutto e per tutto, la grande sconfitta di Barack Hussein Obama. È lui e solo lui a sedersi sulle macerie della sua fallimentare presidenza. Obama lascia un Paese con più poveri di quando è arrivato (erano 35 milioni adesso sono la bellezza di 43). Ma i poveri sono abituati ai sacrifici, chi lo è meno è la classe media. Avvezza a vivere se non nell’agio dello stile di vita piccolo/medio borghese (il famoso american way of life) questa massa di persone si ritrova ad aver recuperato occupazione (è netto il calo il numero dei disoccupati nell’era Obama) ma a scapito del salario.

I salari persi durante la crisi erano mediamente il 20/25% più alti di quelli recuperati con la “ripresa”. Il divario tra il famoso 1% dei super ricchi ed il 99% dei comuni mortali è aumentato ed in un Paese che non fa sconti agli indigenti non basta la traballante riforma Obama care dell’assistenza sanitaria a compensare il senso di frustrazione e di incertezza che vive la gran parte della popolazione.

E a proposito dell’Obama care, questa copre solo 27 dei 41 milioni di cittadini a stelle e strisce che non hanno copertura assicurativa per le cure mediche. Inoltre incide pesantemente sul già traballante bilancio dello Stato in un Paese dove per essere accusati di socialismo basta anche solo abbassare le tasse scolastiche ai più poveri.

E vediamolo questo debito pubblico, uno dei più alti del mondo (sicuramente in termini assoluti e tra i peggiori in relazione al PIL). Si tratta di oltre 14.000.000.000 di dollari, era 8.800.000.000 quando Obama è stato eletto la prima volta. Diciamo la verità: se a Renzi  sforasse così tanto ne vedremmo delle belle anche qui. Inoltre c’è da considerare che una parte considerevole di questa montagna di debiti gli USA ce l’hanno con i Fondi sovrani di Cina e paesi arabi. Il che vuol dire che se un giorno Xi Jinping decidesse di mettere sul mercato la sua quota di titoli pubblici USA succederebbe uno sconquasso tale che la crisi del ’29 sembrerebbe una goliardata.

Nel suo primo discorso dopo la conferma della vittoria, Donald Trump oltre alla rituale retorica dei ringraziamenti al mondo intero compresi i magazzinieri (nel calcio dopo aver vinto uno scudetto non si dimentica mai di ringraziare i magazzinieri), dice una cosa che rituale non lo è affatto. Ricorda che uno dei punti principali del suo programma è quello di modernizzare le infrastrutture del Paese.

E le elenca tutte: ponti, autostrade, aeroporti, ospedali. SI perché questa è l’ennesima eredità che il primo Presidente nero degli Stati Uniti d’America lascia al suo successore: un Paese con infrastrutture a dir poco fatiscenti.

A questo punto uno si può aspettare che Donald Trump, paladino del liberismo più liberismo che c’è, indichi la via del mercato e dell’iniziativa privata per procedere alla messa in stato di adeguatezza le opere appena citate. E invece no. Dice una cosa straordinaria: “Investendo in infrastrutture creeremo nuova occupazione”.

Non ho sbagliato Presidente, non si tratta del discorso di Franklin Delano Roosevelt che presenta il suo “New deal”, si tratta proprio del 45° Presidente degli Stati Uniti d’America Donald John Trump. Ma è un cafone. Follow the money myfriend, avete mai visto un operaio mangiare pane ed educazione in pausa prnazo? Ma è un misogino, non può rappresentare un modello culturale adeguato ai tempi.

Perché Hillary Diane Rodham Clinton lo è? Una donna che in nome di una sorta di Ostpolitik a stelle e strisce accetta di fare la parte della mogliettina comprensiva mentre suo marito, l’allora Presidente, riceve piacevoli fellatio dalla mediocre Monica Samille Lewinsky, e pur di coprire le malefatte del fedifrago, si rende ridicola di fronte al suo maschio alpha che non trova nulla di meglio che umettare il suo presidenziale sigaro nelle vergogne della medesima stagista? Qualche attempata femminista credo che se lo sia chiesto ed abbia dato la su risposta.

Quale esempio può essere una persona così per le donne tutte? Quale dignità, quale orgoglio di genere può vantare di fronte alle sue eventuali elettrici? Comportarsi come una qualsiasi Jacqueline Lee Bouvier Kennedy Onassis? Per la serie chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ho lasciato per ultimo l’argomento più scottante: il razzismo.

C’è voluto il primo Presidente nero della storia americana per ritornare ai moti e gli scontri di piazza per motivi razziali come non se ne vedevano dalla fine degli anni ’60. Proprio la figura di Obama ha vanificato anni di integrazione.

I bianchi si sono sentiti frustrati dalla sensazione che un nero alla Casa Bianca li avrebbe potuti definitivamente mettere ai margini della politica e della società. Non solo gli ispanici che a forza di figliare hanno fatto diventare (ancora per poco) lo spagnoli la seconda lingua, adesso ci si mettono anche i neri, e via odio e risentimento. Si potrebbe continuare ma per amor di Patria possiamo anche fermarci qui nell’elencare le nefandezze democratiche che hanno spalancato le porte della stanza ovale al rustico palazzinaro.

La domanda non è, a questo punto, come possa essere successo. La domanda vera è: come sarebbe potuto non succedere. Ora, che io possa scrivere queste cose a posteriori è banale. Come può essere successo, però, che l’intero mondo dei media, dei commentatori, degli “esperti” non sia riuscito ad accorgersi di ciò che stava realmente succedendo è francamente  incomprensibile e, in un certo senso, affascinante. Ma questo è un altro argomento.

Cosa succederà adesso? Questa è la domanda delle cento ghinee…Trump le ha sparate grosse che più grosse non si può in campagna elettorale, sarà in grado di mettere in atto tutto ciò che ha promesso? La risposta è molto semplice: NO. Non lo ha fatto nessun populista in nessun Paese in nessuna epoca, non lo farà Trump. Un conto è sparare bordate nei comizi altro è governare.

E a proposito, quello che sta alzando la testa in USA ed in Europa non è populismo, il populista era Peron questa è semplicemente la  destra con buona  pace di chi crede che la globalizzazione ha eleminato le differenza tra destra e sinistra. Lui non ha bisogno, a differenza dei “populisti” nostrani tanto per dire, di scontrarsi contro la dura realtà.

Lui è un giullare e come tale si adegua al padrone. Ieri era l’elettorato esasperato del quale gli serviva il consenso,  oggi è il mondo della finanza. Ieri sparava bordate, oggi (il suo primo discorso da Presidente ne è la prova) parla il linguaggio del realismo e del buon senso.

Sono pronto a scommettere che del muro con il Messico non se ne farà nulla così come dell’espulsione di centinaia di migliaia di clandestini. Gli USA stanno, come la maggior parte dei Paesi ricchi, invecchiando. Solo i soliti benpensanti un tanto al chilo possono pensare che basta investire in asili nido e la gente riprende a fare figli.

La verità è che più hai soldi e più te li vuoi godere e i figli sono un impedimento per cui, se proprio non ne posso fare a meno, ne faccio uno e uno solo, e in tarda età. Ergo: gli immigrati servono come il pane all’economia americana così come a quella europea.

Quello che davvero succederà è che gli USA torneranno a guardarsi l’ombelico e perdere di vista i dintorni della politica internazionale. L’amico Putin ne beneficerà e questo potrebbe essere un risvolto molto interessante per la vecchia e stanca Europa.

La durezza di Obama verso i russi non ha portato bene ne politicamente ne da un punto di vista economico. Dare a Putin ciò che è di Putin in Siria come in Ucraina potrebbe risultare utile a tutti. Pur volendo tenersi alla larga (sempre a parole perché poi la realtà, come dimostra il Premio Nobel preventivo Obama, è comunque un’altra cosa) dalle beghe del resto del mondo l’arroccamento annunciato non sarà accompagnato da un ripensamento sul già imponente apparato militare anzi il programma è di rilanciare massicciamente le spese per le dotazioni di uomini e mezzi .

Ne gioveranno le agguerrite (ca va sans dire) industrie del settore compresa la nostra Finmeccanica che non a caso il giorno successivo vedeva le sue quotazioni in borsa salire di un buon 7,6%. Tremano invece le industrie legate all’energia alternativa. All’indomani della firma del  trattato di Parigi i repubblicani dichiararono che in caso di loro vittoria avrebbero disdetto l’accordo. Credo che questa sia la peggiore delle conseguenze dell’elezione di Trump, la negazione del global warming.

Insomma non un cataclisma, forse neppure la rivoluzione che le catastrofistiche cronache a caldo paventano ma sicuramente il 9 novembre 2016 sarà una di quelle date che rimarranno nella memoria collettiva per lungo tempo. Ed è solo l’inizio.

Roberto Pergameno

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