Editoriale

Strage dell’Egeo: Grecia in lutto nazionale, ma l’Europa deve inginocchiarsi

Subito dopo la strage di Cutro l’ammiraglio Vittorio Alessandro, ex portavoce della Guardia costiera parlando del programma Mare nostrum disse: “Sentivamo la stima di tutto il Paese. Con il governo Conte sono cambiate le regole d’ingaggio: le nostre motovedette venivano chiamate taxi del mare”. E sui soccorsi: “Spingevamo le nostre navi anche oltre le 40 miglia e nessuno si sognava di fermarci”. Era il tempo in cui l’umanità ancora prevaleva sugli interessi politici di questo o quel governo. 

La missione Mare nostrum, come vedremo più avanti, fu adottata in conseguenza dell’ennesima tragedia così come la missione Alba in Adriatico che fece seguito a una tragedia, quella della Katër i Radës, nota anche come tragedia del venerdì Santo del 1997 avvenuta il 28 marzo di quell’anno all’omonima motovedetta albanese.

La nave, carica di circa 120 profughi in fuga dall’Albania in rivolta, entrò in collisione nel canale d’Otranto con la corvetta Sibilla della Marina Militare italiana, che ne contrastava il tentativo di approdo sulla costa italiana. Nel conseguente affondamento perirono 81 persone di cui si riuscì a recuperare il corpo e, si stima, tra 27 e 24 persone non furono mai ritrovate. I superstiti furono 34.

Nei giorni successivi la notizia del disastro fu pubblicata in prima pagina da tutti i quotidiani italiani, riportando il senso di gravità dell’incidente, che venne definito come una collisione o (più probabilmente) speronamento.

Il 28 marzo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 1101, che istituì una forza multinazionale di protezione in Albania per facilitare la fornitura di assistenza umanitaria. La missione Alba venne affidata al governo italiano e comprendeva la partecipazione di 6500 soldati provenienti da altri otto paesi (Austria, Danimarca, Francia, Grecia, Romania, Slovenia, Spagna e Turchia). 

Tornando a Mare nostrum, anche questa missione fu avviata a seguito degli eventi del 3 ottobre 2013 quando, a poche miglia del porto di Lampedusa, ci fu il naufragio di un’imbarcazione libica usata per il trasporto di migranti, noto come tragedia di Lampedusa. L’affondamento provocò 368 morti accertati e circa 20 dispersi presunti; i superstiti salvati furono 155, di cui 41 minori. 

In seguito al naufragio di Lampedusa, il governo italiano, guidato dal presidente del consiglio Enrico Letta, decise di rafforzare il dispositivo nazionale per il pattugliamento del Canale di Sicilia autorizzando l’operazione Mare nostrum, una missione militare e umanitaria la cui finalità era di prestare soccorso ai migranti prima che potessero ripetersi altri tragici eventi nel Mediterraneo.

A partire dal 1º novembre 2014, l’operazione Mare nostrum è stata sostituita dall’operazione “Triton di Frontex” programma a guida UE e su questa missione si sono giocate partite politiche trasversali tra i soggetti interessati.

Adesso siamo arrivati all’ennesima strage di cui a tutt’ora non si comprende l’entità. Ufficialmente le vittime sono 83 di cui due bambini, ma le testimonianze dei 108 superstiti prefigurano una tragedia di dimensioni epocali compreso un numero enorme di bambini coinvolti. Per trovare stragi di queste dimensioni, se il quadro sarà confermato, bisogna andare indietro di sette-otto anni. Il 18 aprile 2015 il più grande naufragio di migranti nel Mediterraneo: tra 800 e mille morti nel Canale di Sicilia. Altri 500 davanti alle coste di Zuwara quattro mesi dopo. Tra 200 e 400 partiti dall’Egitto ad aprile 2016.

Questa ennesima tragedia non porterà ad alcuna iniziativa come quelle sopra descritte. Diverso il quadro storico, diverso quello politico. C’è una guerra in corso, vissuta da tutti (politici e opinione pubblica) come l’unica priorità, di cui non si vede non tanto la fine quanto lo sviluppo, l’evoluzione, le conseguenze planetarie e umane.

C’è una radicalizzazione del quadro politico europeo su posizione di estrema destra come non si vedeva dalla fine della Seconda guerra mondiale. C’è un allarme climatico del quale si percepisce la pericolosità solo dal punto di vista della massa di esseri umani che si dovranno allontanare dai loro paesi e che, unendosi ai profughi di guerra e agli altri derelitti della storia, hanno portato, in pochi anni da 70 a oltre cento milioni il numero dei migranti. 

In una intervista di ieri su Repubblica Stelios Kouloglou, eurodeputato di Syriza denunciava la “melonizzazione” delle politiche migratorie da parte di Kyriakos Mitsotakis. Colpisce questa definizione perché ci fa capire come alla radice delle tragedie in mare e, più ancora, ad ispirare le politiche della EU, al di la delle belle parole e del tentativo di far passare come equo e giusto un accordo che prevede di poter monetizzare il proprio contributo alla causa del contenimento dell’immigrazione ci sia soltanto il concetto di respingimento: si vuole ricacciare indietro senza se e senza ma, senza darsi una politica e senza considerare le tragedie che sono alla base di un fenomeno strutturale, storico, atavico che nulla ha a che fare con una supposta emergenza di cui non si vedono i connotati.

Che sia Khalīfa Belqāsim Ḥaftar Alferjani che controlla i lager libici in Cirenaica, Kaïs Saïed dittatore tunisino che reprime la dissidenza interna e urla contro i migranti parlando di rischio sostituzione etnica (ancora…) o Recep Tayyip Erdoğan ai quali la EU paga una mancetta di sei miliardi di euro ogni anno per tenersi i migranti in gran parte siriani e afghani presenti nel sud della Turchia e che questo moderno sultano utilizza anche in ottica anti curdi per noi va bene tutto, basta che non arrivano. E quando proprio non si riesce a non farli partire ci si gira dall’altra parte, come a Cutro, come oggi a Pylos o si interviene quando è troppo tardi.

Quando si leveranno le coscienze degli europei? Quando finiremo di girarci dall’altra parte? Quando ci faremo il regalo di darci un’etica comune che comprenda tra l’altro l’accettazione di un destino comune che non può prevedere confini e barriere? Tra l’Egeo e il Tirreno si sono messe le basi per la filosofia e il diritto studiate ancora in tutte le università del mondo, quando decideremo di esserne fieramente degni eredi?

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