Cultura

Metabolic rift, ovvero la separazione tra l’uomo e la natura causata dal modo di produzione capitalista. Parliamone

“Si può arrivare al socialismo senza passare per il capitalismo?”. Questa domanda fu posta da una allieva di Karl Marx al filosofo, economista, politologo, storico, giornalista e politico tedesco. Era, al tempo, una domanda interessante. Secondo Karl Marx, il passaggio dal capitalismo al socialismo è un processo dialettico inevitabile, indotto dalle contraddizioni intrinseche del capitalismo stesso.

Marx riteneva che il capitalismo, nonostante i suoi aspetti sfruttatori, fosse necessario per sviluppare le forze produttive (tecnologia, industria, infrastrutture) fino a un livello tale da garantire un’abbondanza materiale. Solo così una società socialista, basata sulla distribuzione equa delle risorse, potrebbe essere sostenibile.

La domanda, pertanto, era del tutto plausibile. La replica, o antitesi se vogliamo rimanere nel solco della dialettica “tesi-antitesi-sintesi “ che fu un modello della filosofia di Friedrich Hegel, successivamente ripreso e trasformato da Karl Marx nel suo materialismo storico, è che la stessa lo era contestualizzandola all’epoca in cui fu posta.

In questi ultimi anni e ancor più negli ultimi mesi se non settimane abbiamo visto come la previsione della crisi prima e dell’implosione poi del capitalismo da parte di Marx si stia concretizzando davanti ai nostri occhi con una precisione inquietante.

Secondo Karl Marx, il capitalismo è destinato a implodere a causa delle sue contraddizioni strutturali, che generano crisi economiche sempre più profonde e una polarizzazione sociale insostenibile. Le grandi aziende, per competere, investono in tecnologia (capitale costante) riducendo il ricorso al lavoro umano (capitale variabile, unica fonte di plusvalore). Questo riduce progressivamente il profitto, spingendo i capitalisti a intensificare lo sfruttamento o a generare bolle speculative, aggravando l’instabilità.

In un ambito globalizzato questo processo di sfruttamento che Marx analizzava nelle dinamiche interne dei singoli stati è stato proiettato a livello planetario spostando lo sfruttamento del lavoro là dove ci fossero le migliori condizioni (delocalizzazione). Il consumismo, sviluppo inevitabile del capitalismo, spinge a produrre più merci di quanto il mercato possa assorbire, perché i salari dei lavoratori (la maggioranza della popolazione) sono mantenuti bassi per massimizzare il profitto.

A questo punto il capitale in eccesso non trova investimenti redditizi, portando a stagnazione o speculazione finanziaria (vedi crisi del 2008). In questo momento la gran parte del capitale accumulato non viene investito in attività produttive ma in manovre speculative con grande rischio di gravi perdite (vedi il crollo delle borse delle ultime settimane) che ha come conseguenza un periodo di stagnazione se non di recessione dell’economia globale.

Nel corso degli anni molti studiosi hanno cercato di aggiornare o, per meglio dire, contestualizzare il pensiero di Marx all’evolversi della situazione. Un aspetto interessante, divenuto drammaticamente attuale negli ultimi anni, è quello relativo al rapporto tra sviluppo ed ecologia. Negli ultimi tempi si è imposto all’attenzione del mondo accademico, e non solo, Kohei Saito, un filosofo giapponese contemporaneo, noto per i suoi studi su Karl Marx e per il suo contributo al pensiero ecosocialista.

Le sue teorie si concentrano su un’interpretazione ecologica del marxismo, sostenendo che Marx, soprattutto nei suoi scritti maturi e nei manoscritti inediti, stesse sviluppando una critica radicale al capitalismo in chiave ambientalista. Saito, nel suo libro “Karl Marx’s Ecosocialism: Capital, Nature, and the Unfinished Critique of Political Economy” (2017), sostiene che Marx, negli ultimi anni della sua vita, aveva preso coscienza della distruzione ecologica causata dal capitalismo. Aveva iniziato a studiare scienze naturali, agronomia e chimica del suolo (ad esempio il lavoro del chimico Justus von Liebig) per comprendere come l’estrazione capitalista di valore dalla terra e dal lavoro producesse squilibri irreparabili. Marx parlava di “metabolic rift” (frattura metabolica): una separazione tra l’uomo e la natura causata dal modo di produzione capitalista.

Il tema verrà affrontato il 29 aprile prossimo a Roma in un convegno che si terrà alla Casa dell’Agricoltura in occasione della Giornata Mondiale della Terra. Sarà un’occasione importante per riflettere con Ernesto Longobardi, Paolo Cacciari ed altri studiosi su questo aspetto della crisi del capitalismo e sulle possibili vie di uscita.

Ma torniamo dell’intraprendente allieva di Marx. Perché la sua domanda non avrebbe oggi alcun senso mentre ne aveva allora? Semplicemente perché a differenza dell’800 quando ancora vi era la possibilità, almeno teorica, di passare dall’economia rurale e feudale ad una forma di socialismo, il 21° secolo vede praticamente l’intero mondo allineato sulle metodologie di sviluppo (in vario modo declinate) dell’economia capitalista.

L’esempio più lampante è proprio la Cina. Paese teoricamente comunista che fa parte però dell’OMC e di tutte le altre organizzazioni sovranazionali che regolano i rapporti economici e commerciali a livello globale. Dopo la morte di Mao Tse-tung e la sconfitta della cosiddetta “banda dei quattro” (un gruppo di quattro politici della Repubblica Popolare Cinese che furono arrestati nel 1976, dopo la morte del Grande condottiero, ed in seguito processati e condannati. Accusati di essere membri della banda furono Jiang Qing, vedova di Mao e sua ultima moglie, e tre suoi associati, ossia Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen) Deng Xiaoping avviò un periodo di riforme che portarono la Cina a quello che è attualmente, un ibrido tra un apparato politico centralista di stampo comunista ed una organizzazione dell’economia che nulla ha da invidiare ai più avanzati paesi capitalisti.

Dobbiamo, pertanto, affidarci all’analisi e alle previsioni, peraltro in gran parte azzeccate, del Marx più classico, quello della critica al capitalismo e la proposta di sbocco nel socialismo della inevitabile crisi alla quale sarebbe stata avviata “accontentandoci” semmai di recuperare quegli aspetti che furono al tempo ritenuti marginali del pensiero marxista, ma che la degenerazione dell’ambiente ha fatto riemergere anche per merito di pensatori come Kohei Saito.




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