Dopo la vittoria degli autonomisti alle elezioni dell’11 marzo e dopo le sparate di Donald Trump la domanda è d’obbligo: saremo capaci noi vecchi europei di difendere la nostra sovranità sulla Groenlandia, che potrebbe costituire il nostro vero tesoro economico? La vittoria della destra autonomista potrebbe vedere di buon occhio la proposta/minaccia di Donald Trump in ottica anti Danimarca. Dopo il saccheggio minerario che si sta organizzando in Ucraina per opera degli stati Uniti con la complicità interessata della dirigenza russa, il prossimo obiettivo, allora, potrebbe davvero essere questa isola grande sette volte l’Italia, con i suoi oltre due milioni di chilometri quadrati, equivalente a metà Europa con soli sessantamila abitanti.
Detenere le terre rare presenti nel sottosuolo della Groenlandia significa avere accesso a un tesoro economico da impiegare nella mobilità a basso impatto ambientale e soprattutto nella microelettronica per almeno un secolo con il vantaggio della facilità di estrazione a causa dello scioglimento della calotta ghiacciata che lascia il posto alla terra.
Lo sviluppo della crisi ucraina sembra essere lo specchio di quello che potrà essere il nuovo assetto mondiale. Se la guerra in Ucraina fu provocata per indebolire la Russia in vista di un confronto con la Cina, cambiando la dirigenza americana (ma non il fine) si può ipotizzare che l’accordo ormai palese tra Trump e Putin non comprende soltanto la spartizione delle riserve minerarie dell’Ucraina, ma che ci sia quantomeno un accordo per sfruttare/conquistare proprio la Groenlandia. Un asse USA/Russia indebolirebbe il progetto del gruppo dei Brics che sta lavorando alla costituzione di una moneta unica tra Brasile, India, Emirati arabi, Egitto e soprattutto la Cina (che detiene, è bene non dimenticarlo, un terzo del debito sovrano USA) evento quanto mai nefasto per le sorti del dollaro.
È dal suo primo mandato che Trump mira alla Groenlandia. Nel 2019 offrì un bel po’ di denaro per acquisirla, ma la Danimarca negò fermamente questa possibilità. E se non ci riesce con le buone, ci prova con le cattive. L’Europa è fisicamente distante dalla Groenlandia, non dispone di una potenza militare quanta ne hanno Russia e Stati Uniti messi insieme e non ha un esercito unitario. E allora la prospettiva per noi vecchi europei non può essere quella militare. Ancora una volta la logica ci porta lontano dalla prospettiva di un riarmo generalizzato per risolvere le controversie internazionali.
Una cosa è certa, la vera battaglia strategica dei prossimi anni (oltre al controllo delle rotte marine dei mari orientali) si giocherà sopra i 70° di latitudine nord. L’Artico è ricco di risorse minerarie, molte delle quali sono ancora in gran parte inesplorate a causa delle condizioni climatiche estreme e delle difficoltà logistiche.
L’Artico ospita alcune delle più grandi riserve non sfruttate di petrolio e gas naturale al mondo. Si stima che la regione contenga circa il 13 per cento delle riserve globali di petrolio e il 30 per cento di quelle di gas naturale. Le aree più promettenti si trovano principalmente nel Mare di Barents, al largo delle coste della Russia e della Norvegia, e nell’Alaska North Slope. Oltre a questo nell’Artico si trovano depositi di metalli preziosi come oro, argento e platino, oltre a metalli rari come terre rare, nichel, rame e zinco. Soprattutto in Groenlandia ci sono poi grandi giacimenti di uranio, utilizzato come combustibile nucleare.
E’ del tutto evidente che questa sarà l’area geografica dove si concentreranno le attenzioni delle grandi potenze. Lo sfruttamento delle risorse minerarie dell’Artico, tuttavia, è oggetto di dibattito a causa delle preoccupazioni ambientali. L’estrazione e il trasporto di queste risorse possono avere un impatto significativo sugli ecosistemi fragili della regione, oltre a contribuire al cambiamento climatico attraverso l’emissione di gas serra. Ma non saranno certo le velleitarie battaglie ecologiste a fermare la famelica ambizione delle grandi potenze.
In tutto questo cosa intenda fare l’Europa è tutto da vedere. A sentire la dirigenza comunitaria la priorità è il riarmo salvo dimostrarci come, di grazia, intendano risolvere militarmente questa ed altre controversie. Gli 800 miliardi fantasticati da Ursula von der Leyen e compagnia cantando se anche arrivassero nelle casse dei singoli stati dovrebbero essere utilizzati in un arco temporale inconciliabile con le rapide evoluzioni della politica internazionale al tempo di Trump. E sicuramente avrebbero due ostacoli insormontabili, da una parte l’inadeguatezza nei confronti dello strapotere dei competitors e dall’altra la frammentazione degli apparati difensivi a meno di improbabili sviluppi. Si tratterebbe di dare un decisivo impulso comunitario alla politica estera nel momento di massima influenza di idee sovraniste, una sorta di ossimoro politico.