Il 31 gennaio 2020 veniva attuata ufficialmente la Brexit, l’uscita cioè del Regno Unito dalla Comunità europea. Tuttavia, il Regno Unito è rimasto in un periodo di transizione fino al 31 dicembre 2020, durante il quale ha continuato a seguire le norme dell’Unione Europea per consentire la negoziazione di un accordo commerciale. A partire dal 1º gennaio 2021, il Regno Unito ha cessato di applicare le regole UE, dando pieno effetto alla Brexit. Il referendum tenutosi il 23 giugno 2016 fu pesantemente condizionato da una serie di informazioni false passate come notizie. Le fake news, infatti, hanno giocato un ruolo significativo nel dibattito pubblico che ha preceduto il referendum, contribuendo a influenzare la percezione degli elettori.
Una delle fake news più famose è stata la dichiarazione, riportata sul famoso autobus della campagna “Leave”, secondo cui il Regno Unito avrebbe versato 350 milioni di sterline a settimana all’Unione Europea, con la promessa implicita che quei fondi sarebbero stati utilizzati per finanziare il sistema sanitario nazionale (NHS). Questa cifra è stata ampiamente smentita, poiché non teneva conto del rimborso che il Regno Unito riceveva dall’UE e di altre compensazioni.
Molte campagne a favore della Brexit hanno enfatizzato il tema dell’immigrazione, spesso legandolo a preoccupazioni sulla sicurezza, l’occupazione e la pressione sui servizi pubblici. Alcune fake news hanno esagerato il numero di migranti che avrebbero potuto entrare nel Regno Unito, ad esempio suggerendo che milioni di cittadini turchi avrebbero avuto accesso all’UE e, di conseguenza, al Regno Unito, a causa di presunti piani per l’adesione della Turchia all’UE, scenario questo del tutto infondato.
Alcune campagne hanno sostenuto che la Brexit avrebbe portato a un immediato miglioramento economico, sottovalutando i rischi di impatti negativi in termini economici e commerciali che, come vedremo più avanti, si sono in effetti verificati. Sono state diffuse anche false informazioni sugli accordi commerciali che il Regno Unito avrebbe potuto stipulare rapidamente con paesi terzi dopo l’uscita dall’UE.
Di fronte a questa enorme mole di notizie false e fuorvianti il corpo elettorale britannico si è diviso nettamente. Le grandi città, come Londra, Manchester e Edimburgo, hanno votato in maggioranza per il Remain. Queste aree tendono ad essere più cosmopolite, economicamente dinamiche e multiculturali. Le zone rurali e le città più piccole, per contro, soprattutto in Inghilterra e Galles, hanno votato in modo schiacciante per la Brexit. Qui erano più diffuse le preoccupazioni legate all’immigrazione e alla perdita di identità nazionale.
Netta la divisione per livello di istruzione. Gli elettori con un livello di istruzione inferiore (ad esempio senza laurea) hanno votato in larga maggioranza per la Brexit più inclini a vedere l’UE come una fonte di problemi e come la perdita di posti di lavoro o la percezione di un aumento delle pressioni migratorie. Coloro che avevano un’istruzione superiore o una laurea erano più propensi a votare per il Remain essendo generalmente più favorevole all’idea di una cooperazione internazionale e meno preoccupati dall’immigrazione.
Anche la fascia di età dell’elettorato ha influenzato la scelta. I giovani hanno votato in maggioranza per rimanere nell’UE (circa il 73 per cento per il Remain) identificandosi maggiormente come “europei”. Gli elettori più anziani, per contro, hanno sostenuto in maggioranza la Brexit. Molti di loro ricordavano il Regno Unito prima dell’ingresso nell’UE e vedevano l’uscita come un’opportunità per recuperare una percepita “sovranità perduta”.
A distanza di cinque anni da quella storica decisione si può cominciare a fare un primo bilancio. La Brexit, analizzando i dati macroeconomici e sociali, è costata moltissimo al Regno Unito. Questa, per esempio, è la valutazione di The Independent, giornale quotidiano inglese che si è basato su dati governativi, statistici e anche di importanti università britanniche. Intanto l’accordo in sé costava oltre trenta miliardi di sterline che il governo britannico si è impegnata a pagare all’UE, questa somma è già stata quasi tutta pagata, mancano ancora però 6,4 miliardi di sterline, ma soprattutto è costato l’impatto economico che la Brexit ha avuto sul Regno Unito in termini di commercio e non solo.
L’Office for Budget Responsibility ha calcolato l’anno scorso che sul lungo termine il colpo sul commercio britannico sarà di circa il 15 per cento in meno, ma già nel 2022 la London School of Economics, importantissima università britannica, aveva calcolato circa 27 miliardi di sterline in meno per le esportazioni, un trend che è poi continuato e che il centro studi dell’università calcola in circa il 6,5 per cento in meno l’anno. Si stima anche che 16.400 imprese esportatrici britanniche abbiano smesso di esportare in Europa a causa dopo il 31 gennaio 2020.
Anche la produzione, secondo Bloomberg, è diminuita di circa cento miliardi di sterline l’anno in valore. Tutto questo non è stato bilanciato neppure da una riduzione dell’immigrazione come volevano i “brexiter” anzi il saldo degli immigrati nel Regno Unito dall’inizio della Brexit è di 2,3 milioni di persone in più, quasi tutti extracomunitari mentre moltissimi studenti comunitari hanno smesso di andare nel Regno Unito a causa delle rette altissime che le università hanno imposto dopo l’uscita dalla UE.
Un bel risultato, non c’è che dire. Viste le distinzioni di voto per fasce di istruzione verrebbe da ricordare quel vecchio detto che recita “se pensate che l’istruzione costi, provate con l’ignoranza”.