Diritti

Carcere. Case di lavoro, “un fenomeno marginale che va superato”

Il sistema penale prevede, oltre alle pene, le misure di sicurezza: un retaggio delle costruzioni positivistiche e lombrosiane, a cui sono destinate le persone che sono ritenute socialmente pericolose. “La dottrina penalistica italiana del secondo dopoguerra ha spesso ritenuto questo istituto come in contrasto con i principi costituzionali, in particolare, con la funzione rieducativa della pena. Le misure di sicurezza per imputabili, infatti, si aggiungono alla pena detentiva già espiata e ne rappresentano una mera continuazione, di durata non predeterminata ed eseguita in luoghi del tutto analoghi al carcere. Nonostante le critiche di lunghissima data, le misure di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa lavoro, introdotte dal codice Rocco, permangono”. A ricordarlo è “La società della ragione”, finanziata dalla Chiesa evangelica valdese, che pubblica un report proprio sulle case di lavoro.

Quante sono. Le case lavoro, colonie agricole, o sezioni destinate a casa lavoro in istituti di pena sono nove sull’intero territorio nazionale: Alba, Vasto, Castelfranco Emilia, Aversa, Tolmezzo, Biella, Isili, Barcellona Pozzo di Gotto e la “Giudecca” di Venezia. Tra questi istituti soltanto la “Giudecca” è femminile con 5 presenze e va segnalato che a Tolmezzo le presenze riguardano detenuti al 41bis. Secondo gli ultimi dati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, relativi all’anno 2020, le persone internate in queste strutture erano 321, in totale.
Oggi, nessun istituto è completamente adibito a casa di lavoro, sono tutti case di reclusione o case circondariali, in cui una o più sezioni sono destinate ai sottoposti alle misure di sicurezza della casa di lavoro o colonia agricola.
“Le ricerche sulla colonia agricola e sulla casa lavoro sono esigue e la revisione della misura di sicurezza detentiva per imputabili non è centrale nell’agenda politica – si sottolinea nel report -. Dalle poche ricerche sul tema e dai pochi dati disponibili si evince che la popolazione che è sottoposta a questa misura è la più marginale, con bassa scolarizzazione e senza riferimenti sul territorio. Le stesse esigue ricerche evidenziano anche come le case lavoro siano strutture con caratteristiche analoghe ai penitenziari”.

L’obiettivo della ricerca è quello di avviare un processo di trasformazione delle misure di sicurezza detentive per imputabili, volto ad eliminarne gli aspetti più afflittivi e renderle vocate al reinserimento sociale e non all’esclusione, attraverso la produzione e diffusione di una ricerca che evidenzi le qualità delle strutture e le tipologie di attività e la costruzione di protocolli e progetti efficaci di reinserimento sociale. La ricerca ha prodotto un report. E la riflessione conseguente ha portato a una proposta di legge, presentata in Parlamento (A.C. 158).

La casa di lavoro
La misura di sicurezza dell’assegnazione ad una casa di lavoro o a una colonia agricola è prevista, per coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali, o per tendenza, e per gli altri casi previsti dalla legge, oggi, per lo più superati (era prevista, per esempio, per i minorenni dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, qualora la misura dovesse essere eseguita dopo la maggiore età, ma la materia è stata ampiamente riformata dalla riforma del diritto penale minorile), tranne l’ipotesi di applicazione per violazioni gravi e/o ripetute delle prescrizioni della libertà vigilata (art. 231 co. 2 c.p.). La colonia agricola e la casa di lavoro rappresentano i due diversi luoghi di esecuzione di un’unica misura, prevista e disciplinata dagli artt. 216-218 c.p. e differiscono soltanto per la tipologia di lavoro che vi viene svolto, di natura agricola, nella prima, di natura artigianale o industriale, nella seconda.
La scelta dell’assegnazione all’una o all’altra viene effettuata dal giudice, ai sensi dell’art. 218 c.p. sulla base delle attitudini della persona e può essere modificata.
La durata minima della misura di sicurezza è di due anni per il delinquente abituale, tre anni per il delinquente professionale, quattro anni per il delinquente per tendenze, un anno per gli altri casi previsti dalla legge.

Case di lavoro, la fotografia
“Case di lavoro e colonie agricole, forse per il numero ridotto delle persone che vi si trovano ristrette, sono dimenticate, non solo dagli studiosi di diritto penale, che si occupano in una sparuta minoranza di misure di sicurezza e in numero ancora più esiguo di quelle per imputabili, ma anche dalla politica, che con pochissime eccezioni non affronta il tema della duplicazione sanzionatoria, e infine dalle istituzioni. Tanto che persino i dati statistici relativi a queste misure sono carenti o non aggiornati o addirittura incoerenti”, afferma la ricerca de “La società della ragione”.
“Tra i dati messi a disposizione online dall’ufficio statistiche del Ministero di Giustizia, che, vale la pena ricordarlo, offre dati mensilmente aggiornati con numerose variabili e rilevazioni, il dato relativo alle persone in misura di sicurezza detentiva per imputabili risulta, dalla verifica del numero dei presenti in ciascuna casa di lavoro che abbiamo potuto effettuare nel corso della nostra ricerca e dai dati forniti dal DAP all’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, non coerente. La voce che, nella tabella detenuti per posizione giuridica delle statistiche ministeriali, riporta il numero di nostro interesse è così definita ‘Internati in case lavoro, colonie agricole, altro’, con un ‘altro’ che non è ulteriormente specificato (a differenza di alcune diverse categorie, che possono destare perplessità, in cui è riportato con un asterisco un chiarimento sulla definizione della categoria e la modalità di rilevazione). Il numero offerto dal Ministero è sempre sovradimensionato rispetto ad altri dati e mostra la presenza di internati anche in Regioni – come il Lazio o la Toscana – in cui non sono presenti sezioni di case di lavoro. Per queste ragioni, nel nostro studio e in questa prima ‘fotografia aerea’ delle misure di sicurezza, ricorreremo ai dati presenti nelle relazioni del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e non ai dati pubblicati sul sito del Ministero della Giustizia”.

Un fenomeno marginale
Le misure di sicurezza per imputabili rappresentano indubbiamente un fenomeno marginale nel complessivo sistema penale. Dal 2015 ad oggi, il rapporto tra internati nelle case di lavoro e colonie agricole e popolazione detenuta non ha mai raggiunto percentuali superiori allo 0,5% e, in termini assoluti, la popolazione internata ha oscillato tra un minimo di 213 persone nel 2021 e un massimo di 279 nel 2018.
“La misura di sicurezza non è marginale solo se guardiamo alla fase esecutiva e dunque alle persone sottoposte all’esecuzione in rapporto al numero dei detenuti, ma lo è già – e anzi in maniera maggiore – se osserviamo la percentuale di applicazioni di misure di sicurezza in rapporto alle sentenze irrevocabili di condanna – si afferma -. Da quasi venti anni, la misura di sicurezza risulta essere ordinata in sentenza in un numero irrisorio di sentenze irrevocabili di condanna, sempre inferiore allo 0,1%. Il numero ridotto delle persone sottoposte a misura di sicurezza, può in parte spiegare la posizione marginale che ricoprono gli studi sul tema e la mancata adozione di una riforma, a fronte delle critiche consolidate al sistema”.

Le donne nelle case di lavoro
Nel mondo penitenziario le donne rappresentano una minoranza, che dal 1991 non ha mai superato le 3.000 unità e da diversi anni si assesta attorno al 4% della popolazione detenuta e non ha mai superato il 5% dal 1993 ad oggi. Nelle case di lavoro le donne sono in percentuale ancora inferiore, un margine di una popolazione già numericamente scarsa e dimenticata: un margine nel margine. Dal 2015 ad oggi, le donne internate non sono mai state superiori a 10 persone in termini assoluti, una percentuale di donne sul numero complessivo delle persone internate che oscilla tra l’1,2% e il 4,2%. Le internate sul numero di donne detenute raggiungono quote pari tra lo 0,13% e lo 0,40% per lo 0,01% della popolazione ristretta.

I reati
La misura di sicurezza della casa di lavoro o della colonia agricola, può essere applicata in quelle ipotesi di pericolosità sociale qualificata, rappresentata dagli status di: delinquente abituale, professionale o per tendenza. Ai sensi dell’art. 109 c.p., le dichiarazioni di abitualità e professionalità possono essere effettuate in ogni tempo, mentre la dichiarazione di tendenza a delinquere può essere effettuata soltanto contestualmente alla sentenza di condanna. “La dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere non è limitata sulla base della gravità dei reati commessi, soltanto a determinati reati, di maggiore gravità o allarme sociale o posti a tutela di beni giuridici ritenuti particolarmente rilevanti. La misura di sicurezza, avendo come presupposto la pericolosità sociale e funzione la difesa sociale è disancorata dal fatto commesso e non risponde al principio di proporzionalità – si evidenzia -. Ciò rende la misura, ancor più distante da un diritto penale garantista e rischia di favorire la riproduzione di gerarchie e differenze sociali, che nell’applicazione delle misure di sicurezza giocano un ruolo fondamentale”.

Nel 2017, ultimo anno per cui è disponibile la rilevazione Istat, la casa di lavoro risultava ordinata nel 42% dei casi per reati contro il patrimonio, nel 17% per reati contro la persona e in un altro 17% per reati previsti da normative esterne al codice penale (come la violazione delle leggi in materia di sostanze stupefacenti o in materia di armi), nel 21% in ipotesi di reati contro l’ordine pubblico, il restante 3% era equamente ripartito tra reati contro la famiglia e reati contro il patrimonio.
Guardando più nel dettaglio, dentro alle singole classi di reati che riportano almeno una violazione, la fotografia al 2017, i reati maggiormente rappresentati, risultano: associazione a delinquere di stampo mafioso (21%), estorsione (14%), il 13% per rapina, il 12% per violazione delle norme del T.U. stupefacenti, l’8% favoreggiamento, sfruttamento della prostituzione.

“Se adottiamo uno sguardo diacronico ed esaminiamo le classi di reati per cui sono state applicate le misure di sicurezza della casa di lavoro e della colonia agricola dal 2000 al 2017, possiamo osservare alcune costanti e notare alcuni elementi che pur non ripetendosi negli anni appaiono significativi – affermano i promotori della ricerca -. Per quanto riguarda le costanti, possiamo osservare come i delitti contro il patrimonio e coprano quasi sempre la gran parte dell’area, sempre seguiti (ad eccezione dell’anno 2001 in cui il rapporto è invertito) dai delitti contro la persona. Anche i delitti contro l’ordine pubblico appaiono ben rappresentati. Seppure con diversa intensità nei 17 anni esaminati, si osserva anche una buona fetta di misure applicate per violazione del T.U. sugli stupefacenti. Si riscontrano, anche se non in percentuale massiccia – e con un picco negli anni 2006- 2009 – ipotesi di misure di sicurezza ordinate per violazione delle norme del T.U. sull’immigrazione. E negli anni 2000 e 2002 sono presenti anche casi di applicazione della misura di sicurezza per violazione delle norme che regolano la gravidanza e la procreazione medicalmente assistita”.

Le persone internate non sono distribuite omogeneamente nelle nove case di lavoro e Aversa e Vasto ospitano da sole quasi la metà della popolazione complessiva (47%). Nonostante ancora oggi si possa riscontrare una disomogeneità tra le case di lavoro, occorre notare una tendenza a riequilibrare la popolazione presente. Nel 2018, la sola casa di lavoro di Vasto ospitava il 40% della popolazione internata. Un altro 30% si trovava a Castelfranco Emilia e tolti il 2% di internate femminili e l’1,8% di internati al 41 bis (entrambi con destinazione obbligata), il restante 26% era più o meno equamente ripartito tra le restanti tre case di lavoro (Biella, Barcellona Pozzo di Gotto, Isili). Oggi, l’apertura della casa di lavoro di Aversa e il progressivo ampliamento di Barcellona Pozzo di Gotto, oltre ad un decremento del 10% delle persone internate, hanno permesso una decrescita sia della popolazione internata a Vasto, diminuita del 40% che di quella a Castelfranco, ridotta del 54,7%.

Il paradosso: la casa di lavoro e l’inabilità al lavoro

Il lavoro è legittimazione stessa della casa di lavoro. Per questo risulta paradossale che siano internate in casa di lavoro, persone molto anziane e già in pensione e/o persone inabili, totalmente o parzialmente al lavoro. “Dalla nostra indagine risulta che nella casa di lavoro di Aversa – dove il problema ci è stato sottoposto e segnalato dai funzionari giuridico pedagogici, ben 14 persone sono inabili al lavoro. Di queste, 7 sono valutate inidonee totalmente e in forma permanente, delle altre 7 2 sono inidoneità parziali e 5 suscettibili di rivalutazione”.

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