A gennaio 2020 arriva a sconto la periodica cambiale del rifinanziamento delle missioni militari all’estero. Questo dovrebbe essere il momento propizio per un ripensamento della nostra politica estera, di un riaggiustamento dei nostri equilibri internazionali e, più prosaicamente, di una “botta di conti” su quanto queste missioni pesano sul bilancio dello Stato. Nulla di tutto ciò si è fatto in passato, nulla si farà questa volta. Già nelle prossime settimane assisteremo ad una indecenza come la proroga degli accordi con la Libia. Per meglio dire gli accordi con la guardia costiera libica, si proprio quella alla quale abbiamo affidato il controllo della zona SAR del Golfo della Sirte con i risultati che si sono visti in questi ultimi due anni.
Questi sono gli accordi, firmati dall’allora ministri Minniti (che non a caso proprio in questi giorni ne ha auspicato il rinnovo) e che il Tribunale Internazionale dell’Aia indaga per crimini contro l’umanità, e che ONU, Amnesty International e Oxfam accusano di gravi violazioni dei diritti umani. Ebbene, questi accordi, verranno implicitamente rinnovati per altri tre anni il prossimo 2 novembre. L’articolo 8 del memorandum d’intesa con la Libia, siglato dall’allora premier italiano Gentiloni e dal capo del governo di Tipoli Fayez Mustafa Serraj il 2 febbraio 2017, dice infatti che l’accordo “sarà tacitamente rinnovato alla scadenza per un periodo equivalente, salvo notifica per iscritto di una delle due parti contraenti almeno tre mesi prima della fine del periodo di validità”. Cosa che, ovviamente, non è avvenuta.
Le missioni all’estero delle nostre Forze Armate sono delle più varie. Si va dall’invasione dell’Afghanistan (perché di questo di tratta piaccia o no) al seguito dell’intervento di USA e GB scatenato il 7 ottobre 2001, alla presenza in Kossovo dove rappresentiamo, per la popolazione locale (specialmente quella di origine serba), i vincitori della guerra omonima alla quale abbiamo partecipato con tutti gli onori. Senza dimenticare, ovviamente, l’IRAQ del famigerato attentato a Nassiriya dove eravamo a presidiare un importante impianto dell’ENI. O il più recente contingente a presidio della diga di Mosul (sempre in IRAQ) costruita guarda caso dalla italianissima Salini Impregilo. Molto più onorevolmente siamo presenti, per esempio, nel sud del Libano nella zona di interposizione tra esercito israeliano ed Hezbollah (tanto per dire la differenza che c’è tra essere invasori o comunque parte in causa e essere inviati dall’ONU come parte terza in interposizione a presidio di un accordo di pace o di tregua).
Ma cerchiamo di capire un po meglio di cosa stiamo parlando.
“La consistenza massima annuale complessiva dei contingenti delle Forze armate impiegati nei teatri operativi è pari 7.343 unità, con una riduzione rispetto al precedente periodo (7.967 unità) di 624 unità;
la consistenza media è pari a 6.290 unità, con una riduzione rispetto al precedente periodo (6.309 unità) di 19 unità;
il fabbisogno finanziario per la durata programmata è pari complessivamente a euro 1.130.481.331, di cui:
Ministero della difesa – Forze armate: euro 1.100.835.456;
Ministero dell’interno – Forze di polizia: euro 7.722.305;
Ministero dell’economia e delle finanze – Guardia di finanza: euro 6.923.570;
Presidenza del Consiglio dei ministri – AISE: euro 15.000.000.”
Fonte: Camera dei Deputati “Autorizzazione e proroga missioni internazionali nell’anno 2019”
Dunque 7.000 soldati, per decine di missioni per una varietà di committenti: Onu, Nato, Unione europea e accordi bilaterali. Il costo delle missioni è a carico del ministero dell’Economia e Finanze, non della Difesa, con grandi dubbi sulla trasparenza, come denunciato da varie organizzazioni pacifiste. Il maggior numero di soldati è impiegato in Asia, in Afghanistan in particolare. Per il nostro contingente in Afghanistan la spesa è di 120 milioni, circa il 10% dell’intera spesa delle missioni estere. Missione cosiddetta di pace giudicata da più parti un assurdo visto il fallimento dell’intervento militare Usa-Nato dato che, dopo 18 anni, si è sul punto di riconsegnare il Paese ai Talebani.
L’Italia è lì ufficialmente per ripristinare i diritti umani ma, come scrive Luciano Bertozzi su il manifesto: «addestriamo e sosteniamo anche la polizia nazionale afghana che secondo l’Onu utilizza da molti anni anche bambini, in spregio al diritto internazionale. E supportiamo l’esercito di Kabul che pure, in violazione del diritto internazionale distrugge scuole e centri sanitari e si è reso responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. Continuano gli attacchi alle scuole ed agli insegnanti, secondo le Nazioni Unite, anche da parte delle forze di sicurezza di Kabul».
In Africa abbiamo invece il maggior numero di missioni, le principali in Libia, Niger e Corno d’Africa. Non certo zone pacificate dove un contingente militare possa svolgere compiti di ricostruzione del tessuto socio economico. Ed infatti in Somalia (Paese estremamente critico)per esempio, siamo li per l’addestramento di quell’esercito di Mogadiscio denunciato dall’Onu ormai da anni per l’utilizzo in combattimento di minori e la distruzione di scuole ed ospedali, oltre a gravi violazioni dei diritti umani. Stessa cosa per l’addestramento della polizia somala, più volte accusata da Human Right Watch, anche qui, di gravi violazioni dei diritti umani.
Del Mediterraneo centrale e Libia abbiamo già detto sopra. In questo caso la dicitura è chiara e non lascia spazio agli equivoci, nessun compito umanitario ma una missione per il «contrasto all’immigrazione clandestina». Nella missione europea EuNavFor Med-Sophia, la partecipazione italiana è di 520 militari e alcuni aerei. Missione parzialmente sospesa per la pressione italiana sul luogo di sbarco dei naufraghi soccorsi che rimane un motivo di scontro con gli altri Paesi europei nonostante il cambio di governo. Via le navi di vigilanza e soccorso, ma continua la formazione della Guardia costiera e della Marina libica. Un capolavoro da tutti i punti di vista.
E infine, parlando di spese militari, vale la pena ricordare la notizia dello scorso 25 maggio: viene varata a Castellammare di Stabia, la nave militare Trieste. Una nuova unità multiruolo d’assalto anfibio che probabilmente ospiterà i famigerati F-35 dell’acquisto dei quali si attende ancora la definizione per la sua cancellazione, riduzione o mantenimento. Il costo di questa portaerei? 1.100 milioni di Euro. Cosa dire…ne avevamo proprio bisogno? Certamente i tecnici della lobby industrial – militare avranno trovato 1000 ragioni per giustificare l’opportunità, se non la necessità, di dotare le nostre Forze Armate di un simile “gioiello tecnologico” come lo ha definito l’allora ministro Trenta.
In Italia fin dagli anni 90 ha preso piede il cosiddetto “Nuovo Modello di Difesa”. Di cosa si tratta lo abbiamo visto in pratica in tutti questi anni, è un progressivo allineamento di tutte le scelte operate nel nostro Paese, con una conseguente sempre maggiore professionalizzazione dell’esercito senza farci mancare la solenne affermazione di essere pronti e attrezzati a portare “pace e sicurezza” in ogni angolo del mondo. Ovviamente, se dobbiamo portare pace e sicurezza in tutto il mondo dobbiamo dotarci di armi sempre più sofisticate e costose. Ora, con tutta la buona volontà, che 90 F35, una portaerei di nuova generazione e tutto l’armamentario bellico possa essere un presidio di pace, la vedo difficile da affermare anche per i più attrezzati sofisti. Ma state sereni, a gennaio, quando in Parlamento si affronterà il rifinanziamento delle missioni militari all’estero, di tutto questo non ne sentirete parlare.