Tra pensioni, stipendi, consumi intermedi, sanità, assistenza ogni anno il nostro Paese registra una spesa pubblica superiore di oltre cinque volte il Pnrr; nel 2023 le uscite dello Stato supereranno, in termini assoluti, i mille miliardi di euro, ma, a differenza del Pnrr, che tra il 2021 e la metà del 2026 ci permetterà di investire poco più di 194 miliardi, non c’è la stessa attenzione della politica e dell’opinione pubblica su come vengono spese queste risorse pubbliche. E’ quanto afferma in una nota l’ufficio studi della Cgia di Mestre.
Tra il 2022 e il 2024, in termini assoluti, la spesa pubblica italiana si attesta stabilmente poco sopra i mille miliardi di euro. La componente più importante è quella di parte corrente (costituita dal pagamento delle pensioni, delle retribuzioni dei dipendenti pubblici, dalla sanità, etc.), che incide, al netto degli interessi sul debito, attorno al 90 per cento circa della spesa totale. La voce più onerosa è riconducibile alle pensioni che ci “costano” 317,5 miliardi di euro. Seguono le uscite ascrivibili al personale con 188,7 miliardi, i consumi intermedi con 170,8 miliardi, la sanità con 134,7 miliardi e l’assistenza e le misure di sostegno al reddito con 106,5 miliardi. Quest’anno il costo per ripagare il debito ammonta a 78,4 miliardi di euro.
“Se i soldi del Pnrr dovranno essere investiti in opere, infrastrutture, aiuti e servizi da ultimare entro due anni e mezzo, alle singole voci che compongono la spesa pubblica sono destinate annualmente delle risorse economiche complessivamente cinque volte superiori, alle quali, però, non viene riservata la stessa oculatezza – si legge nella nota – In quella di natura corrente, ad esempio, spesso si annidano sprechi, sperperi e inefficienze che nessuno riesce a sradicare; le politiche di spending review realizzate in questi ultimi 10 anni, infatti, sono state un autentico fallimento”.
L’ufficio studi della Cgia di Mestre parla di “due pesi e due misure che, tra le altre cose, non ci permettono di tagliare in misura strutturale le tasse. Infatti, se avessimo una spesa pubblica più contenuta, sarebbero necessarie meno entrate per mantenere in equilibrio i conti dello Stato, con grossi vantaggi economici per le tasche dei contribuenti italiani”.