Attualità, Editoriale

Io filo palestinese sotto schoc

Il medio oriente ha voluto regalarsi un’altra tragedia. L’ennesimo bagno di sangue in questa terra disgraziata dove la storia ha scritto un romanzo millenario fatto di grandi culture ma anche di altrettanto grandi ed insanabili conflitti. Chi ha appoggiato in tutti questo lunghi anni la lotta del popolo palestinese nella difesa della propria terra e per la richiesta di un proprio stato oggi è stretto in angolo. La brutalità dell’attacco di Hamas, la presa di centinaia di ostaggi, l’uccisione di civili inermi non può lasciare indifferenti nemmeno i più strenui difensori di questo popolo disperato.

Lo strazio dei milioni di esseri umani rinchiusi in questo vero e proprio lager a cielo aperto che è diventata la striscia di Gaza schiacciati dalla repressione senza pietà dell’esercito israeliano, i continui insediamenti illegali nella Cisgiordania, il ricordo della Nakba l’esodo palestinese in cui centinaia di migliaia di palestinesi sono fuggiti o sono stati costretti a lasciare le loro case evento, questo, che ha lasciato un profondo senso di ingiustizia tra i palestinesi, che continua a alimentare il conflitto. Tutto questo non riesce a far breccia nelle coscienze di chi questo popolo lo ha sempre difeso, il senso di smarrimento è forte, l’umana pietà per le vittime prevale sulla logica politica, sul ragionamento razionale. Gli interessi internazionali che si leggono in filigrana dietro a questo attacco fanno il resto. Ancora una volta sulla pelle dei palestinesi si gioca una partita che con le ragioni di cui sopra non ha nulla a che vedere.

Nel 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione 181, che prevedeva la divisione della Palestina in due Stati separati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme come città internazionale sotto amministrazione delle Nazioni Unite. Questa proposta, tuttavia, non è stata accettata da tutte le parti coinvolte, portando a conflitti e tensioni che perdurano fino ai giorni nostri. Se oggi ai palestinesi venisse offerta una possibilità reale di arrivare ad una composizione del conflitto sulla base della Risoluzione 181 farebbero sicuramente salti di gioia. Ma quella Risoluzione non fu accettata dai Paesi arabi non perché non corrispondeva agli interessi dei palestinesi ma perché su quegli interessi prevalse il cinismo di chi volle usare quella crisi per propri interessi geostrategici.

L’ombra lunga degli Āyatollāh è ben visibile oggi sul campo di battaglia di Gaza ed è l’ennesima ingerenza nella vita del popolo palestinese con la complicità di dirigenti senza scrupoli. L’Accordo di Abramo è il vero obiettivo di questo ennesimo massacro. Il tentativo, che sembra ormai sicuro che sia riuscito, di bloccare gli accordi che avrebbero portato alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Ancora una volta l’atavica lotta tra sciiti e sunniti che ha da anni il suo tragico corollario di morte e distruzione del martoriato (e dimenticato) Yemen, usa il popolo palestinese e la sua legittima lotta per l’autodeterminazione come campo di battaglia per ben atri obiettivi.

Nessuno può ignorare le responsabilità di Israele, la brutalità dell’occupazione dei territori palestinesi sanzionata dalle oltre 70 Risoluzioni delle Nazioni Unite contro le azioni dei suoi governi nel corso degli anni. Una su tutte la Risoluzione 242 (1967) che sancisce che l’occupazione israeliana della Palestina è illegale e obbliga lo stato ebraico a rientrare nei confini precedenti la Guerra dei sei giorni (5–10 giugno 1967). Ma anche la Risoluzione 3236 (1974) che sancisce i diritti inalienabili del popolo palestinese all’autodeterminazione senza interferenze esterne, all’indipendenza e alla sovranità nazionale.

Nessun dubbio che Israele abbia esercitato su Gerusalemme un dominio che andava oltre la legittimità internazionale. Anche qui ci aiutano le Risoluzioni dell’ONU (Risoluzione 251 (1968) che deplora profondamente il dispiegamento militare (parata) israeliano a Gerusalemme, in spregio della risoluzione 250, la Risoluzione 271 (1969) che condanna Israele per la mancata esecuzione delle risoluzioni delle Nazioni Unite su Gerusalemme, la Risoluzione 478 (1980) che censura Israele, nei termini più energici, per la sua pretesa di porre Gerusalemme sotto la propria legge fondamentale).

Nulla di tutto ciò e molto altro (come dimenticare Sabra e Shatila) può essere ignorato ma la domanda che oggi, di fronte elle brutalità di cui siamo testimoni, dobbiamo porci è se la dirigenza palestinese, Hamas da una parte ma anche la corrotta gestione della Cisgiordania da parte di Fatha e dell’attuale Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese e dello Stato di Palestina Abū Māzen nonché Presidente di quella Organizzazione per la Liberazione della Palestina che fu di Yāsser ʿArafāt sia, per statura morale, lungimiranza, capacità politica in grado di rappresentare nella maniera più corretta possibile gli interessi e le istanze del popolo palestinese. I fatti di questi giorni ci danno l’ennesimo esempio di quanto questi dirigenti e queste organizzazioni siano ormai entità che operano per interessi e strategie che con la libertà e l’autodeterminazione di questo martoriato popolo nulla hanno più a che fare.

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