Politica

Elezioni in Sardegna, tra i due litiganti del centrodestra il terzo del campo largo gode

Quella manciata di voti in più che hanno permesso a Alessandra Todde di diventare Presidente della regione Sardegna pesano e peseranno per molto tempo come un macigno sulla testa di Giorgia Meloni. Tradita dalla sua protervia e dagli alleati che hanno usato il voto disgiunto per mandarle un messaggio forte e chiaro la presidente del consiglio dovrà fare ricorso a tutte le sue capacità retoriche per camuffare una cocente sconfitta facendola apparire un semplice inciampo nel percorso glorioso del suo governo. Tutta la gestione della campagna elettorale, a cominciare dall’imposizione del candidato, è stata sbagliata. Paolo Truzzu, pessimo sindaco di Cagliari (è indicato al terzultimo posto dell’elenco dei sindaci più apprezzati secondo un sondaggio del centro studi di Confindustria) è stato imposto da Meloni sulla base della fedeltà al partito e alla sua persona contando sull’effetto “Giorgia”. Non ha funzionato come non funzionò per Massimo d’Alema che volle fare delle elezioni amministrative del 16 aprile 2000 una sorta di referendum sul suo governo e sulla sua persona. Subì una cocente sconfitta che lo portò a rassegnare le dimissioni dieci giorni dopo. Non sarà così per Giorgia Meloni, resterà al governo anche se ormai la partita interna con Matteo Salvini è ufficialmente aperta. Quello che fino a ieri era evidente a tutti ma che la retorica dei due leader era riuscita a far passare come semplice dialettica politica adesso è palesemente una rottura dalle conseguenze imprevedibili. L’aver imposto, inoltre, il limite dei due mandati agli amministratori regionali alla luce del risultato di ieri può essere un boomerang.

Detto degli sconfitti, bisogna dare atto ad Alessandra Todde sarda di Nuoro, 55 anni, doppia laurea, una in Scienze dell’informazione e una in Informatica di essere stata capace di imporsi come candidata credibile e, al contempo, autonoma rispetto alla coalizione che l’ha sostenuta. Significativo il fatto di non aver voluto Conte e Schlein al comizio finale. Donna molto preparata, già sottosegretaria al Ministero dello sviluppo economico nel governo Conte II e viceministra allo Sviluppo economico dal nel governo Draghi, incarichi che le hanno permesso di far emergere le sue capacità, Todde è stata capace di imporsi sia contro Truzzu che contro Soru presentatosi con il solo scopo di evitare la sua elezione. Il gioco alla divisione (la sinistra ama talmente le elezioni che preferisce sempre presentarsi con due candidati) questa volta non è riuscito. In questo caso la coalizione che sosteneva la sua candidata non aveva certo un pedigree propriamente di sinistra ma tanto bastava a Renato Soru per cercare di rompere le uova nel paniere progressista. E’ stato un fallimento anche se per solo una manciata di voti e anche nel campo centrista dovranno fare qualche riflessione.

Molto c’è ancora da fare ma un barlume di speranza per la tenuta di questa strana coalizione formata da due partiti di cui uno nato con il dichiarato intento di combattere l’altro, può rappresentare una speranza per chi si oppone al governo dei manganelli. Conte e Schlein dovranno fare un lavoro di fioretto verso la parte dei loro partiti che non vede di buon occhio il fronte comune. Elly Schlein in particolare dovrà convincere i riottosi nel suo partito a lavorare compatti per il progetto unitario e tenere a bada una minoranza sempre pronta a cogliere ogni occasione per approfittare delle debolezze della segretaria. Il voto di ieri pesa e peserà a lungo negli equilibri interni al Pd molto di più di quanto sarà per Conte la cui leadership all’interno del partito è molto più solida. Staremo a vedere e speriamo che non ci stiamo illudendo troppo perché, come disse Antonio Gramsci “L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari.”

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