Cultura

SCAFFALE «Desidero fare ciò che avrebbe fatto mia figlia» Il libro di Gino Cecchettin arriva in libreria

Si chiamavano Rosa D’Ascenzo, Maria Rus, Deia Zarniscu, Ester Palmieri, Annalisa Rizzo, Nicoletta Zmparelli, Renée Amato, Maria Battista Ferreira e Sara Buratin. Sono le prime, probabilmente, nove donne uccise nel 2024 da un pazzo criminale, in genere maschio. Ma la conta dei femminicidi è una triste incredibile storia che parte da lontano. Era il 13 marzo del 1964 quando Catherine “Kitty” Genovese, italo-americana di 28 anni, fu violentata, accoltellata e uccisa fuori casa sua, in un quartiere molto popolato di New York. La giovane donna aveva urlato forte facendosi sentire da buona parte del quartiere. Secondo un’inchiesta pubblicata all’epoca del New York Times, sarebbero state almeno 38 le persone ad aver sentito o addirittura visto ciò che stava avvenendo. Secondo successive stime, i testimoni effettivi erano una dozzina che, per vicinanza fisica, avevano avuto necessariamente modo di udire e osservare parti dell’aggressione. Durante l’assalto alla donna, un uomo affacciatosi alla finestra di casa aveva addirittura urlato «lasciala stare. Nonostante tutto questo “rumore”, i testimoni non intervennero ne’ allertarono prontamente le autorità. Quando lo fecero e i soccorsi arrivarono sul posto, era ormai troppo tardi, l’aggressione si era consumata e tramutata in omicidio: Catherine arrivò all’ospedale priva di vita.

L’episodio è ancora oggi riportato in molti testi di psicologia e descrive quello che tecnicamente viene definito come «effetto spettatore» o anche «sindrome Genovese», in ricordo di Catherine. L’effetto spettatore si riferisce al fenomeno in cui gli individui non offrono alcun aiuto in caso di pericolo, difficoltà e disagio palese. È stato osservato, infatti, che la probabilità d’intervento è inversamente correlata al numero delle persone che assistono alla condizione di emergenza. In altre parole, maggiore è il numero di “spettatori”, minore è la probabilità che qualcuno di loro intervenga, prestando aiuto concreto.

Viviamo in palesi condizioni di pericolo per la donna. I casi di violenza sessuale, violenza domestica e femminicidi sono in aumento e proprio come quel marzo del ’64, stiamo assistendo a un eclatante “effetto spettatore”. Qualcuno grida di “lasciarle stare”, qualcun altro inneggia alla “parità di genere”, il papà di Giulia Cecchettin pubblica un libro.

Uscirà domani, martedì 5 marzo, in tutte le librerie «Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia», libro scritto da Gino Cecchettin (con l’autore Marco Franzoso e pubblicato da Rizzoli) dedicato a Giulia, studentessa di Vigonovo uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta l’11 novembre 2023 a soli 22 anni.

Nata per lanciare un potente appello alle famiglie, alle scuole e alle istituzioni, l’opera ricostruisce e ripercorre il giorno in cui l’uomo ha scoperto che sua figlia non sarebbe più tornata a casa, presentando poi il progetto per costituire una Fondazione che aiuti le associazioni contro le violenze di genere e a supporto delle vittime di femminicidio. «Questo libro fa parte di un progetto più ampio. Avevo pensato che dovevo far qualcosa, Giulia non si risparmiava ad aiutare gli altri, una delle cose che ho imparato è proprio quella di essere più di aiuto» ha spiegato Gino Cecchettin ieri sera (domenica 3 marzo) in diretta a Che Tempo Che Fa, trasmissione condotta da Fabio Fazio su Nove.

«Quando tutto era finito, la voglia di chiudermi in me stesso era tanta – ha sottolineato – ma poi ho trovato forza grazie a Giulia. Ogni azione che faccio cerco di pensare cosa avrebbe fatto lei. Ho cercato di mettere nero su bianco cosa ho provato, le mie sensazioni. È forse il modo migliore di elaborare il lutto, si arriva prima all’elaborazione dei propri pensieri. Aiuta anche a lasciare qualcosa di utile per gli altri».

«Quando ti metti a scrivere provi a ricordare determinati episodi. Quel sabato è stato un sabato ordinario, nessuno avrebbe mai immaginato cosa sarebbe successo. Alla fine col senno di poi ti rendi conto che viviamo alcuni momenti senza prestare attenzione». Nel libro non viene mai citato Turetta, reo confesso dell’omicidio. «Ho voluto concentrarmi solo su Giulia – ha aggiunto il padre – con i genitori di Turetta ci siamo sentiti un paio di volte, l’ultima a Natale. Rinnovo a loro tutto il mio sostegno, perché ancora adesso stanno vivendo un dramma».

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