Lorsignori

Il Grande Oriente dei pastarellari

Ci risiamo: due giorni orsono, il 9 dicembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inviato ai Comuni di Roma, Milano e Napoli una segnalazione sulla strutturale inadeguatezza del numero delle licenze attive rispetto alla domanda del servizio taxi.

Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, afferma soddisfazione che l’Ente si sia espresso sulla “diatriba tra consumatori, che chiedono più licenze, e tassisti che negano che ce ne sia bisogno”.

Noi non siamo un collettivo di liberalizzatori e crediamo nella concertazione; capiamo che chi ha investito ingenti somme di denaro nell’acquistare una licenza (ma non vi sarebbe stato costretto se non si fosse fatto delle licenze taxi l’ennesima oligarchia economica di questo Paese) non voglia perdere ciò che ha investito per garantirsi un lavoro.

Tuttavia crediamo anche nel Servizio Pubblico, e pensiamo che, se a garantire lo spostamento di persone e lavoratori dentro una città servono, poniamo, mille taxi, non è giusto né ragionevole che ce ne sia la metà. C’è chi del taxi ha bisogno, ad esempio, per condizioni di salute, e non è in grado di guidare né di sostenere un viaggio in metropolitana o in bus: riteniamo giusto che per coloro che vivono questa situazione trovare un taxi debba essere qualcosa di meno complicato che scalare l’Everest.

Ma in questo Paese non si può considerare, sic et simpliciter, l’interesse pubblico perché, ad esempio, dicono voci ufficiose ma insistenti, “contro i tassisti non ci si può mettere”. Ci siamo abituati nel tempo che non ci si può mettere contro la NATO, né contro Commissione Europea, né contro le banche, né contro Confindustria, né contro il Vaticano… e poi, per abitudine, abbiamo degradato fino ad accettare che non ci si può mettere contro i medici di medicina generale, né contro i farmacisti, né contro i notai…. prendiamo atto che non ci si può mettere neanche contro i tassisti. Certo rileviamo che al netto di tutti coloro contro cui non ci si può mettere deve essere “difficilotto” fare una qualsiasi politica di cambiamento.

Ma siamo rassegnati: noi le battaglie per la giustizia sociale le abbiamo perse quasi tutte e ora siamo arrivati alla consapevolezza che in Italia non si muove foglia che combriccola non voglia. Siccome, però, con il passare degli anni aumentano le crisi di nervi e diminuiscono le ambizioni, se non possiamo lottare contro nessuna combriccola costituita, noi vorremmo almeno costituirne o quantomeno ispirarne una. A tale scopo noi leviamo ora alte grida a difesa di una categoria di esclusi, nella speranza che ciò che non ci è riuscito in termini generali ci riesca almeno nel particolare.

Noi oggi vi chiediamo, cittadine e cittadini, compagne e compagni, amiche e amici, contemporanee e contemporanei, di unirvi a noi perché una combriccola, anzi una lobby, anzi una Loggia, anzi un Grande Oriente, sia riconosciuto anche a coloro che finora sono rimasti senza santo protettore.

Noi vogliamo che nasca, possente e tentacolare come tutti gli altri, il Grande Oriente dei Pastarellari. E per aiutare questi amici, amiche, compagne, compagni, sorelle, fratelli, pastarellari noi ne stendiamo ora, pugnace e immarcescibile, il manifesto politico-programmatico. Noi non vogliamo vivere in un mondo in cui la pastarella non sia riconosciuta come unica colazione possibile del vero italiano.

A tal proposito noi stiliamo il nostro “Piano di rinascita pastarellara” che ci attendiamo sia seguito non meno, e in modo non meno trasversale e unanimista, di quanto è stato fatto per il quasi omonimo “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli negli ultimi trent’anni.

Affinché ciò avvenga noi annunziamo che sarà necessario:

1 mobilitare borghesi associazioni del “mangiarbene” che inventino di sana pianta la gloriosa storia patria della pastarella, dai ricettari di Apicio, cuoco imperiale di Roma antica, fino ai nobili caffè torinesi del risorgimento, passando per il dantesco basso medioevo e per i fasti delle corti rinascimentali (non guasterebbe una noterella che dimostri che fu Maria de’ Medici a portare la pastarella in Francia e che infatti l’impasto di cui è fatta, detto “pâte à choux”, non sia altro che una storpiatura gallica dell’italianissima “pastasciutta”);

2 mobilitare i tg-salute per magnificare le virtù salutari della pastarella, vero esempio della cucina mediterranea che ci rende più belli e più longevi degli altri (meglio se insinuando qualcosa sulla perdita di attività sessuale legata allo scarso consumo di pastarelle);

3 mobilitare i talk show con dei Mario Giordano di ordinanza, preferibilmente prodotti in serie, che spieghino con esaltata chiarezza ma efebica intonazione che la colazione salata o in ogni caso non pastarellata è frutto della società multietnica, e quindi dell’islamizzazione e quindi prelude all’applicazione della legge islamica (a tal proposito devono accompagnarsi a ogni talk show: una frase sul relativismo di Ratzinger, un video sulla caduta delle Torri Gemelle l’11 settembre del 2001 con relativo commento giulianferrar-e-consort-iano, e infine una signora con l’Hijab a cui deve essere chiesto “ma lei che a colazione manga hummus vuole dire che Hamas è un’organizzazione terroristica o no?”);

4 una volta conquistato in tal modo il consenso conservatore mobilitare programmi progressisti subalterni per far loro dire che si deve essere inclusivi anche verso una pluralità al limite non pastarellata pur tenendo conto della necessità oggettiva della pastarella come colazione naturale e del malessere della popolazione che spinge a richiederla come cibo universale, col che si concorda, ma sempre nei limiti di una tolleranza che non rovini a nessuno l’ora della colazione;

5 una volta assicurato il consenso, o il dissenso innocuo e compatibile con il nuovo status quo (che è poi la stessa cosa), della totalità della popolazione occorre lavorare a una normativa che introduca la pastarella come unica colazione possibile e dove si provvederà a definire per legge che:

a) su modello delle farmacie, solo gli esercizi autorizzati possono produrre e vendere pastarelle e il loro numero è fissato in ragione del numero di abitanti, eccezion fatta per eventuali proposte di pastarellerie comunali a cui si deve opporre il subitaneo argomento che la pastarelleria privata a mercato bloccato, fa parte di quelle liberalizzazioni e di quelle riforme che ci richiede l’Europa; in virtù di tale modello si deve anche intendere che l’operatore di pastarelleria debba essere pagato il meno possibile
b) su modello dei notai, ai pastarellari autorizzati sarà riconosciuto un sovrapprezzo aggiuntivo in proporzione al valore della pastarella acquistata
c) su modello dei medici di medicina generale, le pastarelle verranno distribuite solo su appuntamento; in caso di fame urgente ci si dovrà rivolgere a dei servizi di Pronta Distribuzione che però potranno offrire solamente plum-cake
d) su modello dei tassisti le licenze da pastarellaro potranno essere acquisite sostanzialmente tramite vendita delle medesime a un prezzo non inferiore a quello di un appartamento; sempre su tale modello, le richieste di appuntamento di cui al punto c, dovranno richiedere un’attesa telefonica di almeno 45 minuti

Ovviamente la presente normativa sarà approvata all’interno di un decreto mille proroghe da convertire poi in legge con voto di fiducia da parte di un governo di larghe intese, così da ottenere il consenso unanime del parlamento, salvo emendamenti da intendersi come puramente di circostanza.

A chi ci obietta che un tale provvedimento sarebbe inviso alla popolazione noi rispondiamo con forza! Avete familiarizzato con l’ingiustizia, imparato a convivere con un mondo di privilegi lobbistici, introiettato il fatto che chi solleva un’obiezione di principio è un comunista da evitare, un complottista da isolare, un illuso da deridere. E ora tante storie per un privilegio in più, per un disagio in più? Tornate ad adattarvi, date retta, e se proprio non ci riuscite, costruitevi una lobby tutta vostra oppure levatevi coglioni.

 

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