Editoriale

Immagina tutte le persone che condividono tutto il mondo

“Imagine all the people sharing all the world. You may say I’m a dreamer but I’m not the only one I hope someday you’ll join us and the world will live as one”. Sono le famose parole di John Lennon in “Imagine”. Un mondo senza confine, senza nazioni. Difficile anche solo da immaginare per l’appunto. Eppure ci sono stati studi approfonditi sull’argomento “confini aperti”. Tanto per essere subito chiari, “confini aperti” significa che le persone sarebbero libere di spostarsi per cercare lavoro. Non significa “abolire i confini” o “abolire lo stato-nazione”. Al contrario, proprio la diversa gestione degli stati diventa il motivo per cui la migrazione è considerata da così tante persone un’opzione attraente.

frontiereMichael Clemens, economista del Centre for global development, un centro studi sulla povertà di Washington, è convinto che una scelta apparentemente molto naive e utopistica potrebbe raddoppiare la ricchezza del mondo: aprire i confini delle nazioni. Bryan Caplan e Vipul Naik in “A radical case for open borders” (Una tesi radicale in favore dei confini aperti) aggiungono una interessante riflessione: “La manodopera è la risorsa più preziosa del mondo, eppure a causa delle regole sull’immigrazione gran parte di questa risorsa viene sprecata. I lavoratori nigeriani non qualificati guadagnano, negli USA, il mille per cento in più di quanto guadagnerebbero rimanendo nel loro Paese. “Costringere i nigeriani a restare in Nigeria è una scelta economicamente insensata come lo sarebbe costringere gli agricoltori a coltivare l’Antartide”, scrivono Caplan e Naik. Anche i benefici non economici sono evidenti. Negli Stati Uniti un nigeriano non può essere schiavizzato dagli islamisti di Boko haram.

Ovviamente i dubbi non mancano. Quante persone, per esempio, deciderebbero di partire se i confini fossero aperti? L’istituto di sondaggi Gallup ha rilevato che 700 milioni di persone – il 14 % della popolazione mondiale – sceglierebbero l’emigrazione permanente se potessero, e un numero ancora maggiore sceglierebbe l’emigrazione temporanea. Circa 147 milioni di persone sceglierebbero di trasferirsi negli Stati Uniti, 35 milioni nel Regno Unito e 25 milioni in Arabia Saudita.

Ma siamo sicuri che intraprendere un viaggio verso un Paese lontano e sconosciuto sia altrettanto facile che rispondere alla domanda di un sondaggio? In realtà i numeri di Gallup potrebbero essere sovrastimati. Per abbandonare il proprio Paese servono coraggio e resistenza. I migranti devono dire addio ad amici e parenti, alle tradizioni familiari alla loro quotidianità. Molti preferirebbero non fare questo sacrificio, anche rinunciando a una grossa ricompensa materiale.

A sostegno di questa tesi ci sono esempi anche molto vicini a noi. In Germania gli stipendi sono il doppio rispetto alla Grecia e in base alle regole dell’Unione europea i greci sono liberi di trasferirsi in Germania, ma solo in 150mila lo hanno fatto dall’inizio della crisi economica, su una popolazione di undici milioni di persone. E le differenze tra la Germania e la Grecia da tutti i punti di vista sono infinitamente inferiori di quelle che ci sono, per esempio, tra il Congo e e la stessa Germania. Dal 1986 i cittadini della Micronesia possono vivere e lavorare senza un visto negli Stati Uniti, dove il reddito pro capite è venti volte più alto rispetto al loro Paese. Nonostante questo due terzi di loro hanno deciso di restare in Micronesia.

Se tutti i confini del mondo fossero eliminati, si verificherebbero profondi cambiamenti a livello sociale, politico ed economico, alcuni benefici e altrettante criticità. Vediamo quali potrebbero essere le conseguenze.
American footballCon la libera circolazione le persone potrebbero spostarsi liberamente da un Paese all’altro senza restrizioni. Ciò potrebbe portare a un aumento della diversità culturale e dell’interazione tra popoli, favorendo la diffusione delle idee e delle conoscenze. Interpretato in senso negativo la preoccupazione è quella di uno stravolgimento delle caratteristiche culturali della popolazione accogliente. Una estrema interpretazione di questa situazione porta politici reazionari ad agitare lo spauracchio di una inesistente “sostituzione etnica”. Potrebbe, però, anche emergere una nuova forma di identità globale basata sull’interconnessione e la condivisione di valori comuni. Gli Stati Uniti sono cambiati (in meglio) passando dai cinque milioni di abitanti in prevalenza bianchi del 1800 ai 320 milioni di oggi, con etnie e culture diverse. Meglio ancora sarebbe stato se non avessero sterminato le popolazioni autoctone.

Una migrazione incontrollata causerebbe un massiccio spostamento di persone dalle regioni più povere o instabili verso quelle più ricche e stabili. Questo potrebbe mettere a dura prova le risorse e i servizi dei paesi più ricettivi, creando sfide sociali ed economiche. Altrettante sfide si stanno vivendo con la presenza di innumerevoli immigrati senza permesso di soggiorno senza considerare lo spopolamento di territori marginalizzati dai cambiamenti dei sistemi di produzione del reddito. Due terzi dei paesi al di sopra dei 300 mt di altezza in Italia sono spopolati. Una migrazione libera potrebbe, invece, portare ad una graduale integrazione economica sia all’interno dei singoli Paesi sia tra le nazioni. Il commercio e gli scambi potrebbero aumentare, consentendo alle aziende di operare su scala globale senza le barriere imposte dalle frontiere nazionali. Questo potrebbe portare a benefici economici.

Un ulteriore effetto della libera circolazione delle persone sarebbe una crescita di importanza degli organismi internazionali (Onu per primo) che sono in questo momento sotto la pressione degli interessi nazionali. L’eliminazione dei confini indebolirebbe il concetto tradizionale di sovranità nazionale. I governi potrebbero perdere parte del loro potere decisionale, poiché le decisioni su questioni come immigrazione, commercio e sicurezza verrebbero condivise su una scala globale o regionale.

L’abolizione dei confini potrebbe presentare sfide in termini di sicurezza nazionale. La libera circolazione delle persone potrebbe facilitare il movimento di individui con intenzioni criminali o terroristiche. Questa è una preoccupazione comprensibile (e naturalmente sfruttata dai politici contrari all’immigrazione) ma a sostenerlo ci sono soltanto congetture e prove aneddotiche. Uno studio dei flussi migratori condotto tra il 1970 e il 2000 su 145 paesi dai ricercatori dell’università di Warwick ha stabilito che l’immigrazione tende più a ridurre il terrorismo che ad aumentarlo, soprattutto perché la migrazione incoraggia la crescita economica. Sarebbe sufficiente sviluppare nuovi strumenti di sicurezza e di cooperazione internazionale per affrontare queste minacce.

L’eliminazione di tutti i confini è un’idea estremamente suggestiva anche se teorica e improbabile da realizzare nella pratica. I confini nazionali, nonostante tutto, servono a scopi di gestione, controllo e organizzazione dei Paesi, e la loro eliminazione solleva numerose questioni complesse che richiederebbero un ampio accordo e una ristrutturazione globale delle istituzioni e dei sistemi esistenti. Un vecchio detto recita “se pensate che la cultura costi, provate con l’ignoranza”. Potremmo parafrasare dicendo “se pensate che l’eliminazione dei confini e la riduzione delle sovranità nazionali sia un rischio, provate con la lotta alla migrazione e con il sovranismo”.

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