Editoriale

La violenza non è innata, è malattia indotta

Pace e pacifismo sono parole talmente abusate che se qualcuno, definendosi pacifista, chiede la pace in Ucraina immediatamente viene tacciato per filoputiano. Lo ha fatto anche quel simpaticone del Gramellini quando, sul suo Caffè – forse “corretto grappa” – vigliaccamente ha tacciato l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di neutralità pelosa nella guerra in corso e ha persino affermato che la “P” dell’ANPI stava per “putiniani”. Ovviamente senza tener conto dei comunicati del presidente Pagliarulo che invocavano la pace.

Pace e pacifismo fintanto che non vengono applicati a un oggetto specifico e fintanto che non gli si dà un senso, legando le due parole non solo al contesto ma anche ai suoi contenuti e alle sue intenzionalità, sono termini astratti. Sono involucri vuoti.

Quindi lascerei queste due parole da parte e partirei dal tema dell’aggressività, ovvero cercherei di capire se essa esiste sin dalla nascita come dato genetico, se è creata da un demone interiore, se è indotta culturalmente, oppure se essa invece emerga dai rapporti umani patologici.

Non ci può essere un’idea di pace e non ci può essere un’immagine di pacifismo fintanto che, aderendo alla vulgata filosofica e religiosa, si continui a credere in una naturale aggressività negli esseri umani.

I sistemi filosofici e religiosi occidentali fondano il proprio dominio su un’idea farlocca e millenaria, a causa della quale l’essere umano viene pensato “naturalmente aggressivo” e quindi predisposto alla violenza contro l’altro da sé. Solo pochi giorni fa, Tomaso Montanari, interpellato sull’ennesimo massacro in America, ha affermato: «Lo sappiamo, la Bibbia dice l’uomo è un baratro il suo cuore è un abisso, lo sappiamo da sempre che dentro di noi c’è la violenza, la chiamiamo forza ma è violenza». Questa è la perfetta sintesi del pensiero egemone e pervasivo comune legittimato dalla cultura in cui viviamo. Questa credenza millenaria, se traslata dal microcosmo texano ai macrocosmi internazionali, legittima ogni guerra, ogni saccheggio, ogni “land grabbing, perché, come teorizzava Weber, nella società esiste per natura quel “dualismo etico” grazie al quale mentre il rapporto tra i membri di una comunità è eticamente regolato, l’opposto avviene al di fuori di essa, dove la comunità più forte e violenta può imporre la legge della forza e dell’arbitrio su un’altra comunità meno forte e meno violenta. D’altronde l’espressione latina “homo homini lupus“, ovvero “l’uomo è un lupo per l’uomo”, detta le regole del vivere sociale, è pensata come motore dello sviluppo economico e della concorrenza senza regole, è un dogma fondante del neoliberismo, è il cardine nell’educazione civile in cui ai piccoli viene insegnato a prevalere e a prevaricare se non si vuole diventare uno “sfigato”.

Da sempre psicanalisti, filosofi, preti teorizzano una mancanza originaria da colmare declinata culturalmente e religiosamente in vari modi: il “peccato originale” dei monoteismi; il “Male radicale” innato nella natura umana della filosofia; il “legno storto” (Kant); “il bambino polimorfo perverso” (Freud); “Nel più intimo dell’uomo c’è il nulla, come “fondo abissale”, Ab-Grund costitutivo dell’essere” (Heidegger), la “manque à etre”irriducibile (Lacan) ecc. ecc.. E non è un caso che, sia Montanari sia Heidegger, parlino di “fondo abissale” attingendo a un assunto religioso millenario.

una lotta senza armiCome scriveva Paola Gramigni nel suo articolo Il fascismo è guerra su Left del 14 Aprile 2022, «le dinamiche e le motivazioni di questa guerra sono tutte profondamente radicate nel presente, rispondono ad equilibri geopolitici ed interessi economici di enorme portata, ma tutti legati al recente passato e soprattutto al prossimo futuro». Questo cosa significa? Significa che pochi uomini, con nome e cognome, sono coloro che muovono le pedine del neoliberismo internazionale. Loro sono sia i guardiani di questa cultura millenaria, di cui si servono per accecare sulla reale realtà psichica della specie umana, sia coloro che usano i conflitti per massimizzare i loro introiti anche a costo di vite umane. Ma sono questi uomini e i loro servi, i perversi, non tutto il genere umano.

Nel settembre del ‘32 Freud risponde ad Albert Einstein che chiedeva i motivi per cui esiste la guerra. Nella lettera del viennese sono tracciate le sue ‘idee’ deliranti che legittimeranno sia i totalitarismi nazifascisti sia tutti i colonialismi e le guerre preventive create per ‘esportare la democrazia’. Il quadro che da Freud della realtà umana è allucinante. Per il viennese essere umano e animale si equivalgono. Ciò che succede nella società umana «avviene in tutto il regno animale, di cui l’uomo fa inequivocabilmente parte» scrive Freud.

Le guerre per Freud sono sacrosante dato che si spertica in elogi per quei massacri che servirono a creare la cosiddetta “Pax romana” o ad asservire i popoli ‘barbari’. Per Freud Il piacere di aggredire e distruggere fa certamente parte della natura umana.  Questi impulsi distruttivi (…) mescolati con altri impulsi, erotici e ideali, facilita naturalmente il loro soddisfacimento. D’altronde dal medico viennese non ci si poteva aspettare nulla di più visto che una sua lettera al duce italico del ‘33 termina in questo modo: «A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel Governante riconosce l’eroe della cultura».

È chiaro che con questi presupposti culturali, moltiplicati dalla filosofia nazista di Heidegger, fu facile poi per la propaganda di Goebbels portare avanti una cultura nazista che esaltava la prevaricazione del forte sul debole. Per Freud  come per Heidegger la realtà umana è essere per la morte dell’altro «L’essere vivente – scrive Freud – protegge, per così dire, la propria vita distruggendone una estranea».

E contro questo imbecille viennese, portatore malato della peste psicanalitica, citato e ricitato in ogni luogo come “il più grande pensatore del ‘900”, contro Freud che non ha fatto altro che transcodificare un credo millenario creato da pochi per la schiavitù di molti, a poco servono le parole dimenticate del premio Nobel Rita Levi Montalcini che nell’aprile del 1996 affermò: «Non esiste il gene della aggressività: nel nostro patrimonio genetico non c’è nulla che ci può portare ad uccidere o aggredire un nostro simile. L’aggressività esiste in tutte le specie animali e quindi anche nell’uomo ma essa dipende dalle condizioni ambientali».

Si diventa violenti e stupidi se l’ambiente umano in cui sviluppiamo il nostro pensiero dalla nascita in poi, ci delude facendoci perdere la naturale speranza di un rapporto interumano valido con cui realizzare la propria nascita e quindi dare un senso alla propria esistenza. Il neonato, il bambino, l’adolescente che sente la propria esistenza umana, in quanto tale, totalmente e incondizionatamente accettata dall’altro da sé, non penserà mai che per vivere in società deve prevalere, prevaricare, vincere, uccidere, violentare, appropriarsi con violenza di ciò che non gli appartiene… costi quel che costi.

Gian Carlo Zanon

Castiglione delle Stiviere – 31 maggio 2022


 

 

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