Editoriale

Comando io

Dopo qualche giorno di decantazione, di analisi e di commenti vale la pena tornare sui risultati elettorali dello scorso 26 maggio. Secondo alcuni commentatori non poteva andare peggio. E’ il caso, per esempio, del politologo Marco Ravelli: “L’abbiamo detto tra noi a caldo, nella lunga notte di Mentana. L’abbiamo scritto il giorno dopo. Lo ripetiamo adesso a freddo (si fa per dire), dopo aver tentato di smaltire lo shock e dopo aver visto le prime analisi di flusso e le nuove mappe elettorali”. Secondo Ravelli la nascita del nuovo parlamento europeo mostra come l’onda populista che da almeno un quinquennio scuote i sistemi politici occidentali, con devastante chiarezza, è approdata alla destra estrema. L’Italia, in particolare, precipita in una condizione che non ha precedenti nella storia repubblicana per disumanizzazione e arroganza del potere. Se sulla seconda affermazione si può essere sostanzialmente d’accordo sulla prima (non poteva andare peggio) qualche ulteriore approfondimento si potrebbe azzardare. Si può, per esempio, partire da una domanda banale: come si giudica il risultato elettorale di un partito? Se dobbiamo vedere soltanto ai numeri uno schieramento politico che cresca dal 17 al 34,2% ha stravinto. Ma sarebbe come dire che una squadra di calcio arrivata a metà classifica un anno e che l’anno successivo acquista i migliori giocatori in circolazione con l’obiettivo di vincere il campionato festeggiasse con feste di piazza l’essere cresciuti fino al secondo posto. Credo che sia importante, al fine del giudizio finale, ricordarsi quali erano gli obiettivi prima di cominciare il campionato. E Salvini il campionato europeo non l’ha iniziato con l’obiettivo di vincere in Italia (gli piace vincere facile come recita la nota pubblicità). Salvini ha chiesto il voto per se in Italia con il dichiarato obiettivo di veder vincere il fronte sovranista ovunque in Europa, avere la maggioranza al Parlamento europeo con la quale modificare i trattati e fare in modo di poter governare il Italia senza gli attuali, odiati, vincoli di bilancio imposti da Bruxelles.

Fino ad ora Salvini, “forte” del 17% contro il 34 del M5S ha potuto tranquillamente giocare sul suo campo preferito (migranti e sicurezza) lasciano il lavoro sporco dell’economia all’uomo del Quirinale (Tria) spalleggiato dal M5S nella scomodissima, per loro, veste di partito di governo. Tutto questo in attesa di un clamoroso ed atteso sorpasso sugli “alleati” di governo e con un altrettanto clamoroso ribaltone sovranista/estremista in Europa. Adesso invece si trova con il cerino in mano. Da una parte non si può più nascondere dietro Di Maio e compagnia farneticante dall’altra a Bruxelles è rimasto da solo con i suoi alleai che superano di poco il 7% del parlamento. Questo significa che dovrà intestarsi la prossima legge di bilancio che sarà necessariamente lacrime e sangue (lo dicono i numeri ed il mercato non Bruxelles) senza avere quella agibilità politica che credeva di garantirsi con un parlamento pieno dei suoi sodali. Nel complesso la somma dei gruppi euroscettici, dai Conservatori dell’Ecr all’Enf della Lega fino all’Efdd dove siede il M5S, si ferma a circa 170 seggi, una soglia molto lontana dalla maggioranza di 367 deputati che serve per `governare´ i Parlamento europeo. Di fronte a questa situazione dire “non poteva andare peggio” risulta, a mio avviso, alquanto azzardato.

Dando per scontata la prevista crescita della Lega dalle ultime elezioni potevano uscire tre scenari:

1 – Lega largamente vincente in Italia, sovranisti maggioranza in Europa

2 – Lega in crescita ma in sostanziale pareggio con il M5S, sovranisti maggioranza in Europa

3 – Lega largamente vincente in Italia, sovranisti perdenti in Europa

Di questi tre scenari il peggiore per Salvini è proprio quello che si è verificato. Da oggi in poi sarà il governo Salvini, con buona pace di Conte e Di Maio, dovrà indicare a Tria il percorso per attuare il suo programma di governo, intestarsi come si è detto la prossima manovra finanziaria e tutto questo con un parlamento europeo dove gli schieramenti tradizionali (centristi e socialisti) sono si in calo ma non a favore dei sovranisti antieuropei ma a favore per lo più del gruppo dei verdi e di partiti di ispirazione liberale che sono altrettanto, se non ancor più, europeisti. Basti pensare alla crescita delle formazioni verdi che hanno nelle direttive europee l’unica speranza di poter imporre qualche cambiamento delle politiche ambientali, sperare nel ravvedimento ecologista dei singoli paesi sarebbe folle. Certo se si restringe il campo al solo scenario politico italiano “non poteva andare peggio” assume tutt’altra valenza ma queste erano elezioni europee e a questo dato inconfutabile dobbiamo attenerci anche perché, diciamocelo chiaramente, è l’unico che ci consente di sperare ancora.

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