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Mafia: in 32 anni sono stati 383 i decreti di scioglimento dei comuni in 11 regioni (6 al Nord)

Si chiama “La Linea della palma” il nuovo dossier di Avviso Pubblico sui Comuni sciolti per mafia, presentato oggi presso il Centro di residenza universitaria di Bertinoro, in occasione dell’apertura della prima Scuola di formazione politica “Amministratori consapevoli” rivolta ad amministratori locali e aspiranti tali ideata insieme alla Fondazione Scintille di Futuro presieduta dall’ex presidente del Senato Pietro Grasso.

Secondo i dati raccolti, dal 1° gennaio 2022 al 30 settembre 2023 sono stati 18 gli Enti locali sciolti per mafia in tutto il territorio nazionale, ovvero una media di uno scioglimento al mese. Un dato inquietante che conferma il trend degli ultimi trentadue anni. Infatti, dal 1991 al 30 settembre 2023 sono stati 383 i decreti di scioglimento in ben 11 regioni, di cui sei collocate nell’area centro settentrionale del Paese.

Ben 280 hanno riguardato consigli comunali, in cui sono coinvolti sindaci, assessori, consiglieri e dipendenti della Pubblica amministrazione e in 6 casi ad essere commissariate sono state Aziende Sanitarie Provinciali.

Ad aggravare il quadro c’è da considerare che 76 Amministrazioni hanno subito più di uno scioglimento: 56 enti sono stati sciolti due volte, 19 tre volte e un comune addirittura 4 volte. Sintomo di un’infezione dura da curare, che dimostra il grado di pervasività e aggressività delle organizzazioni criminali, che non si limita ai comuni, ma che colpiscono anche il settore sanitario pubblico.

Il dossier, che è la naturale prosecuzione del precedente “Le mani sulla città”, presenta anche un focus sui decreti di scioglimento nelle regioni del Centro-Nord, non a tradizionale presenza mafiosa.
Il 3,4% degli scioglimenti, ovvero 13, hanno riguardato i Comuni del Centro-Nord Italia. “Nonostante il numero apparentemente esiguo di comuni commissariati in queste regioni, emerge chiaramente il crescente interesse per le mafie, in particolare per la ’ndrangheta, per quei territori, dove lo sviluppo economico-finanziario offre la possibilità di riciclare ingenti quantità di denaro, inserendosi anche nel mercato degli appalti pubblici”. A testimoniarlo sono le numerose inchieste giudiziarie che in questi anni hanno rivelato un sistema ramificato di affari illegali.

“L’esauriente ed interessante dossier presentato da Avviso Pubblico fotografa una situazione preoccupante, che denota la insostituibilità del vigente strumento di contrasto alle infiltrazioni mafiose, ma anche la necessità di una organica riforma della materia – dichiara l’ex presidente del Senato, Pietro Grasso, presidente della Fondazione Scintille di futuro –. Sarebbe importante che il cittadino percepisse che quando arriva lo Stato le cose cambiano e in maniera duratura. Sciogliere un Comune non può essere considerato un atto di autorità dello Stato che incide gravemente sul rapporto tra gli elettori e i rappresentanti eletti democraticamente, ma significa difendere la collettività dalle infiltrazioni mafiose, laddove c’è un vero e proprio problema di sospensione della democrazia. Da un punto di vista operativo, ai commissari vanno riconosciuti maggiori poteri d’intervento sulla burocrazia e maggiori risorse, umane, professionali e finanziarie per poter realizzare il ritorno alla legalità, magari anche dopo lo scioglimento con un’opera di “affiancamento” che accompagni l’ente locale in un definitivo percorso di risanamento, rendendolo impenetrabile di fronte alle pressioni dei criminali, al voto di scambio, alle scorciatoie amministrative, alla corruzione”.

“Nei trentadue anni di applicazione della legge è stato sciolto per infiltrazioni mafiose un Comune al mese in Italia. Una media inquietante, che rivela l’esistenza di complicità e connivenze e il continuo tentativo delle mafie di ritagliarsi un posto in prima fila nella corsa agli appalti e alla gestione dei servizi pubblici. Si sciolgono Comuni soprattutto nel Mezzogiorno, tra cui due capoluoghi – Reggio Calabria e Foggia – ma dalla metà degli anni Novanta la ‘linea della palma’ di cui parlava Sciascia, è giunta a coprire l’intera penisola, arrivando anche al Nord. Nessuna regione può più dirsi affrancata dagli interessi delle organizzazioni criminali. L’azione repressiva è fondamentale, ma non basta”, spiega il presidente di Avviso Pubblico, Roberto Montà.
“Il prossimo anno andranno al voto il 46% dei Comuni italiani. In vista di questo importante e delicato appuntamento, il nostro compito di amministratori, quello dei cittadini e soprattutto quello della politica a tutti i livelli, è quello di alzare le antenne e mettere in campo azioni concrete per prevenire e contrastare quei rapporti torbidi che finora hanno condizionato molte amministrazioni. Se non può esistere una mafia senza rapporti con la politica, può e deve esistere una politica senza alcun rapporto né con la mafia né con i sistemi corruttivi”.

Come è possibile leggere nel dossier, tanto nei territori a tradizionale presenza mafiosa quanto in quelli di più recente espansione lo scopo delle cosche è quello di controllare ogni settore della vita economica e amministrativa degli Enti, con impressionante duttilità e capacità di adattamento. Un obiettivo che viene perseguito aggirando le procedure di trasparenza, riducendo al minimo la partecipazione pubblica, occupando ogni spazio disponibile.

Emblematica, in questo senso, è l’attenzione delle mafie per il controllo di appalti e lavori pubblici: ciò avviene sia per le risorse economiche che essi generano, sia per l’opportunità di controllare interi segmenti delle filiere, dal lavoro alla fornitura di materiali, con quel che ne consegue in termini di radicamento sul territorio e di arricchimento.
Altri settori di interesse della criminalità organizzata sono ambiente, edilizia privata, attività economiche del territorio, società partecipate, patrimonio degli enti, e poi ancora risorse umane, il settore dei rifiuti e quello elettorale, con un alto grado di condizionamento che porta al cosiddetto fenomeno dello scambio elettorale. Un dato significativo riguarda la contiguità territoriale: ad essere sciolti spesso sono comuni a pochi chilometri di distanza tra loro.

Nel dossier sono inoltre disponibili dati aggiornati, analisi tratte dalle relazioni allegate ai decreti di scioglimento, sintesi dei documenti parlamentari, spunti di riflessione e proposte relative all’attuale normativa. L’obiettivo de “La linea della palma” è stimolare una riflessione su un fenomeno – l’inquinamento mafioso degli Enti locali – che provoca lo scioglimento di un Comune al mese, la sospensione della democrazia e danni enormi al tessuto socio-economico dei territori interessati.

Il report dimostra, infine, come l’attacco delle mafie si concentri di più sui piccoli comuni. In base ai dati demografici forniti dall’Istat, raccolti al momento dell’emanazione del decreto, risulta che il 72% dei Comuni sciolti per mafia dal 1991 aveva una popolazione residente inferiore ai 20 mila abitanti, il 52% inferiore ai 10 mila abitanti. Solo l’8.5% aveva una popolazione residente superiore ai 50 mila abitanti al momento dello scioglimento. Il trend si conferma anche al Centro-Nord, dove l’83% della presenza mafiosa è nei comuni con meno di 50 mila abitanti.

Le ragioni sono diverse: i comuni più piccoli garantiscono ai clan vantaggi in termini di controllo del territorio e della società civile; c’è meno presenza di forze di polizia, che se da un lato è giustificata dalla popolazione ridotta, dall’altra sembra sproporzionata se si pensa al grado di presenza mafiosa. Inoltre i territori più piccoli sono meno esposti mediaticamente e questo giova agli affari dei clan. E infine è più facile far pesare la forza economica criminale sull’imprenditoria locale e sulle piccole amministrazioni.

Il dossier non tiene conto degli ultimi due scioglimenti: Caivano in Campania per la seconda volta e Capistrano in Calabria, sciolto per la prima volta.

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