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Mar Rosso, cosa guadagnano gli Houthi dai raid Usa-Gb? Rischio shock petrolifero? Le analisi

La nuova fase di ostilità che si è aperta nel Golfo con i raid americani e britannici sullo Yemen potrebbe rafforzare gli Houthi, anziché indebolirli. E’ quanto sostengono diversi analisti interrogati dal Washington Post sullo scenario che va delineandosi nella regione dopo che nei giorni scorsi gli Usa hanno rivendicato il successo del raid anti-Houthi con circa 60 obiettivi colpiti. Il generale Douglas Sims, direttore delle operazioni dello Stato maggiore congiunto, ha dichiarato che gli Stati Uniti sono “abbastanza fiduciosi” di aver ridotto la capacità degli Houthi di continuare ad attaccare le navi nel Mar Rosso con missili e droni, ma è stato subito smentito ieri dal missile lanciato dallo Yemen che ha colpito una nave di proprietà americana al largo di Aden.

Mentre Israele prosegue l’operazione nella Striscia di Gaza, costata la vita finora a oltre 24mila palestinesi, e Hezbollah sembra voler evitare un’escalation diretta con lo Stato ebraico, gli Houthi – che come il gruppo sciita libanese fa parte del cosiddetto ‘Asse della resistenza’ allineato all’Iran – si sono messi sotto i riflettori come difensori della causa palestinese, insistendo che le loro azioni nel Mar Rosso si fermeranno solo quando Israele cesserà i bombardamenti.

“Stanno ottenendo ciò che vogliono, ovvero apparire come l’attore regionale più coraggioso quando si tratta di affrontare la coalizione internazionale, che è in gran parte a favore di Israele e non si preoccupa della popolazione di Gaza”, ha dichiarato Laurent Bonnefoy, ricercatore sullo Yemen a Sciences Po a Parigi, secondo cui le azioni dei ribelli “generano loro una qualche forma di sostegno, sia a livello internazionale che interno”.

La simpatia per i palestinesi trascende le lotte intestine e le rivalità che dividono lo Yemen, e su questo punto gli Houthi stanno raccogliendo il consenso anche di quella fetta di popolazione che non li sostiene. Inoltre, anche i loro nemici dichiarati, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, hanno evitato di sostenere la recente campagna guidata dagli Stati Uniti contro gli Houthi, mettendo in guardia da un’escalation.

“Penso che sognino di essere attaccati dagli americani o dagli israeliani perché questo li trasformerà in una vera forza di ‘resistenza’ “, ha spiegato Mustapha Noman, analista, scrittore ed ex diplomatico yemenita, in un briefing a Chatham House a dicembre.

Secondo l’ex ambasciatore americano nello Yemen, Gerald Feierstein, “un attacco statunitense (o di altri Paesi) contro obiettivi militari Houthi convaliderebbe, dal loro punto di vista, la loro propaganda secondo cui stanno combattendo in prima linea a sostegno dei palestinesi e le loro operazioni stanno riuscendo a minacciare gli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati”.

Come riporta il giornalista israeliano Barak Ravid, l’ultima volta che Biden  e Netanyahu (Likud|ECR) si sono parlati risale al ​​23 dicembre, quando il presidente americano gli ha riattaccato il telefono in faccia. Da allora sono passati 20 giorni e i due non si sono ancora parlati. Il senatore democratico Chris VanHollen ha riferito al giornalista Ravid: “Ad ogni punto decisionale, Netanyahu ha mostrato a Biden il terzo dito.” Nella foto di copertina presunta base israeliana distrutta.

“Lo Yemen si trasformerà in un cimitero per gli Stati Uniti”, che lasceranno la regione disperati e umiliati. Sono queste le parole di Ali Al-Qahoum, esponente di spicco dell’ufficio politico dei miliziani Houthi dello Yemen. Il gruppo armato filo-iraniano, le cui posizioni sono state colpite la scorsa settimana da un attacco congiunto USA-Regno Unito – in coordinamento con Canada, Bahrein, Australia e Paesi Bassi – è al centro delle cronache internazionali degli ultimi mesi per i numerosi attacchi condotti contro navi e mercantili in transito nel Mar Rosso. Al netto della retorica, gli Houthi sarebbero effettivamente tornati a colpire, per la prima volta dopo i raid anglo-americani dei giorni scorsi. L’agenzia per le operazioni commerciali marittime del Regno Unito (Ukmto), riferisce che una nave è stata centrata oggi da un missile al largo della città portuale di Aden. La notizia è stata confermata anche dal Comando centrale delle forze statunitensi (CENTCOM), che punta apertamente il dito contro Ansarullah (il nome ufficiale del movimento Houthi). Mohammed Abdel Salam, un portavoce del gruppo, non ha confermato la paternità dell’attacco, limitandosi a dire che “gli attacchi alle navi con rotta verso Israele continueranno”. In ogni caso, gli effetti della crisi sull’economia globale e sulle catene di approvvigionamento sono già ben visibili e vale la pena chiedersi se potranno estendersi anche a un ambito altrettanto delicato: quello dell’energia.+

Alla canna del gas?

Secondo quanto riferisce l’agenzia Bloomberg, i dati di tracciamento delle navi al largo della penisola arabica indicano che il Qatar ha sospeso l’invio attraverso lo stretto di Bab El-Mandeb di petroliere e portacontainer di Gas naturale liquefatto (GNL). La mossa di Doha arriva dopo che, nelle scorse settimane, decine di aziende internazionali di shipping hanno abbandonato la rotta del Mar Rosso, preferendo circumnavigare l’Africa per trasportare le merci dall’Asia ai mercati europei senza attraversare uno spazio considerato ormai pericoloso e insicuro. Come riporta Reuters, quattro o cinque navi della QatarEnergy, secondo maggiore esportatore di GNL al mondo, sono ferme all’imboccatura del collo di bottiglia che separa lo Yemen dal Corno d’Africa. La sospensione decisa dal Qatar potrebbe mettere in difficoltà l’approvvigionamento di numerosi Paesi, Italia compresa, ma bisogna considerare che le riserve di gas in Europa sono attualmente quasi piene, a seguito degli sforzi in tal senso dopo la rottura con gli idrocarburi russi.

Rischio shock petrolifero?

Il crescente clima di tensione ha già sortito i suoi effetti negativi sui traffici commerciali globali. Secondo rilevazioni ISPI, il costo per inviare un container “tipo” da Shanghai a Genova è quasi quadruplicato nel giro di tre mesi, da 1.400 a 5.200 dollari. Ciononostante, uno dei settori più importanti – quello petrolifero – sembra al momento reggere il colpo. Le crisi in Medio Oriente, regione chiave per produzione, raffinazione e commercializzazione di greggio, hanno storicamente prodotto effetti negativi in questo senso, ma non è il caso della recente escalation nel Mar Rosso. All’inizio di questa settimana, dopo fluttuazioni al rialzo dei giorni scorsi per via delle tensioni, i prezzi del Petrolio viaggiano in negativo, con il Brent che cala dello 0,74% a 77,71 dollari al barile, mentre il Wti lascia lo 0,78% a 72,11 dollari al barile. Tengono banco, però, preoccupazioni per la domanda e l’indebolimento della ripresa a livello globale. Indicazioni importanti sono comunque attese per mercoledì, giorno della pubblicazione del rapporto mensile dell’Opec sul mercato petrolifero.

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Cosa vogliono gli Houthi?

Per il movimento yemenita, la campagna di guerriglia nel Mar Rosso ha un enorme valore dal punto di vista politico e simbolico. Gli Houthi, da anni attori cruciali di un sanguinoso conflitto regionale contro una coalizione a guida saudita, hanno condotto negli ultimi tre mesi numerosi attacchi contro le imbarcazioni in transito in segno di solidarietà con i palestinesi, intimando a Israele di interrompere immediatamente le ostilità contro Gaza e il blocco dell’enclave costiera palestinese. Lo Stretto di Bab El-Mandeb che separa lo Yemen dall’Africa orientale – e conduce a nord verso il Mar Rosso e il Canale di Suez – è uno dei più cruciali “choke points” delle rotte internazionali insieme agli Stretti di Hormuz e Malacca. Con le loro azioni, gli Houthi hanno la possibilità non solo di mettere pressione sui sostenitori occidentali dello Stato ebraico, ma anche di presentarsi come gli unici attori della galassia anti-Israele a fare qualcosa di concreto, sia agli occhi dell’opinione pubblica interna che regionale. È assai probabile che gli attacchi subiti dalle forze anglo-americane nei giorni scorsi abbiano provocato danni ingenti alle loro infrastrutture, ma a livello politico e di propaganda il movimento yemenita può comunque rivendicarli come una medaglia al valore di fronte agli osservatori regionali.

Il commento  

di Eleonora Ardemagni, ISPI Senior Associate Research Fellow

“Gli Houthi hanno sempre sfruttato il contesto per costruire in modo efficace la loro propaganda. Lo hanno fatto quando l’ex presidente Ali Abdullah Saleh collaborò con gli USA contro Al-Qaeda nei primi anni duemila, o anche mostrandosi come ‘protettori della patria’ dopo l’intervento saudita del 2015. Inoltre, a differenza di altri attori regionali vicini all’Iran come Hezbollah in Libano, gli Houthi non hanno vincoli derivanti dall’istituzionalizzazione o dalla condivisione del potere: di fatto vivono in un contesto di guerra perenne, a cui sono pienamente abituati. Gli Stati Uniti e i loro partner dovrebbero tener conto di questi fattori e non sottovalutare il potenziale della crisi nel Mar Rosso”

 

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