Editoriale

Posso dare il mio volto al tuo futuro. Correva l’anno 2009

Impiegai niente quel mattino per volare dal mio bosco di piante al tetto più alto di Largo Argentina. La sera prima, passeggiando nervoso tra cedri Diamante e Mano di Budda, chiesi a un poeta scienziato di realizzarmi un quadro per farne un manifesto a doppia pagina da pubblicare il giorno dopo sul quotidiano Terra che dirigevo, si presume, come premio alla carriera ecologista. Ero addolorato per l’ennesimo naufragio di migranti e volevo gridarlo al mondo con la forza della linea che può diventare certo lettera e parola, ma anche tuono. Ci misi un po’ a trovare il coraggio, ma poi spinto da una donna composi il numero.  Parlammo della tragedia consumatasi al largo delle nostre coste, parlammo di Enea, di migranti e di potenziali nuove realizzazioni umane per tutti. Alla fine l’uomo acconsentì.  Portami, disse deciso, pennarelli e tela.

Passarono non so esattamente quante ore di cui ho perso memoria finché, all’alba del giorno successivo, sento squillare il telefono: “Fatto, vieni a vedere se ti piace”. Dal ramo più alto della pianta più alta del mio giardino alla casa in vetro del poeta corrono circa cento chilometri. Fu un attimo. Entrando lo trovai immerso da foglie, fogli e colori riscaldati dal sole agostano della capitale mentre tutta la potenza delle onde marine emergeva da una umile penna bic agonizzante.  Mentre mi illustrava l’opera notai nella parte in basso, a sinistra, la copertina che realizzai la settimana prima per il settimanale Left (ex Avvenimenti). Devo a quel punto aver borbottato qualcosa perché fu allora che lo psichiatra Massimo Fagioli rivolse lo sguardo dal quadro al mio volto per apostrofarmi così: “Se non capisci ciò che hai scritto non capisci niente del rapporto uomo donna.”

Era il 24 agosto del 2009. La chiosa dello psicoterapeuta, quel mattino in versione artista, mi ha accompagnato in tutti questi anni, ma in questi giorni riemerge prepotente con l’omicidio di Giulia. Al netto dei nauseabondi servizi giornalistici e di intrattenimento, delle speculazioni politiche, dei balletti di femministe e colibrì resta forte il grido di dolore e di denuncia della sorella Elena. E aggrappandoci alla sua rivoluzionaria ribellione, il momento di riscatto ci sarà e non per merito di un uomo illuminato e ben educato. Ma ne riparleremo, quando sarà possibile parlarne. Penso ora, in conclusione, che se si vuol davvero dar gambe a un concreto cambiamento bisognerà sbarazzarsi delle innumerevoli retoriche e concentrarsi sulla dinamica che l’uomo deve maturare con un’immagine femminile dentro di sé per andare verso la donna e al contrario: la donna verso l’uomo. E’ un attimo.

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