Editoriale

Come i politici hanno ucciso la Cassa per il Mezzogiorno

Le ricostruzioni di carattere storico (ad esempio, Emanuele Felice e Amedeo Lepore) mostrano che l’azione della Cassa per il Mezzogiorno è stata efficace solo nel primo periodo di intervento. Lo spartiacque decisivo è costituito dalla legge 717 del 1965, in base alla quale la struttura di governance della Cassa subì importanti cambiamenti. Da un governo tecnico e centralistico, ispirato alla Tennesse Authority Valley e caratterizzato da una forte autonomia rispetto alle pressioni politiche, si passò a un assetto in cui le istanze politiche locali (anche attraverso il ruolo delle regioni, istituite nel 1970) divennero sempre più influenti.

Un nostro recente lavoro ritorna sugli effetti di quel cambiamento nella gestione degli aiuti in arrivo dal centro; in particolare si esamina l’interazione tra lo stile di governo e il capitale sociale, uno degli altri elementi tradizionalmente identificato tra i possibili fattori che spiegano l’arretratezza dell’economia del Sud. Confrontiamo cosa sia accaduto col passaggio da un regime di governance all’altro in territori simili per geografia e caratteristiche socio-economiche, ma esposti in maniera differenziata alle vicende storiche che hanno determinato il diverso grado di civismo dei territori italiani, poi sopravvissuto per secoli.

L’analisi si concentra sull’area lungo il confine attuale tra le regioni meridionali e quelle centrali. In una fascia chilometrica attorno al confine (che comprende Abruzzo, Campania, Lazio, Marche, Molise e Umbria) si trovano infatti sia comuni che facevano parte del Regno delle Due Sicilie o allo Stato Vaticano, sia comuni inclusi e non inclusi tra quelli beneficiari dei trasferimenti della Cassa per il Mezzogiorno.

La qualità istituzionale viene prima

I risultati mostrano, per il periodo in cui il programma di aiuti venne gestito in base a un assetto centralistico e autonomo, un effetto positivo della Cassa per il Mezzogiorno sulla crescita economica per tutti i comuni interessati. In questo periodo, approssimato col ventennio 1950-1970, l’esser stato parte del Regno delle Due Sicilie anziché dello Stato Vaticano non determina alcuna differenza nell’efficacia degli aiuti.

Le evidenze cambiano, e drasticamente, per il ventennio successivo, quando gli esponenti politici locali iniziano ad avere un ruolo nella gestione degli interventi. I benefici della Cassa si affievoliscono per tutti i comuni coinvolti e lo fanno in maniera più intensa, fino a implicare una penalizzazione per la crescita economica, per i territori che secoli prima appartenevano al Regno delle Due Sicilie.

Il cambiamento istituzionale, oltre ad aver peggiorato l’efficacia del programma di intervento, sembra quindi avere anche risvegliato quelle tradizioni di scarso civismo e poca attenzione al bene comune che erano invece rimaste silenti durante il periodo precedente. I risultati suggeriscono che gli assetti culturali ereditati dal passato sono complicati da estirpate: possono riemergere dopo decenni di dormienza. Allo stesso tempo, gli effetti di scarse dotazioni di capitale sociale non sono ineluttabili: assetti di governance adeguati possono rappresentare meccanismi utili per disinnescarne gli esiti nocivi.

Giovanna D’Adda e Guido De Blasio (lavoce.info)

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