Se qualcuno aveva dei dubbi su come sarebbe stato il fascismo del terzo millennio, con il cosiddetto DDL sicurezza già passato alla Camera ed ora in vaglio del Senato, ne ha un esempio. Non serve una nuova marcia su Roma, sarebbe controproducente, basta smontare lo stato di diritto a piccoli pezzi. Così, mentre ci raccontiamo quanto ci sia una deriva autoritaria negli Stati Uniti, c’è un tema tutto italiano di cui si sta parlando pochissimo. Con una direttiva del 17 dicembre sul tema della prevenzione e della sicurezza urbana, il ministro dell’interno Piantedosi ha redatto delle nuove linee guida per i prefetti e per le forze dell’ordine, che istituiscono le cosiddette “zone rosse”, aree delle città che la direttiva vuole isolare, vietando l’accesso a quei soggetti che vengono ritenuti pericolosi. E chi ritiene il governo Meloni “pericoloso”? Gli attivisti non violenti per esempio, quelli per il clima, quelli per la difesa degli animali, quelli contro la NATO, quelli contro il ponte sullo stretto, chi sostiene la liberazione della Palestina. La direttiva Piantedosi spaccia questo provvedimento liberticida come azione per prevenire ed evitare episodi di criminalità, definendo criminalità atti che sono semplici espressione del dissenso.
I prodromi di questo orientamento si sono già visti. Solo pochi giorni fa a degli attivisti non violenti che manifestavano fuori la sede di Leonardo sono stati dati dei fogli di via, dei DASPO. Ad alcune manifestanti per il clima sono stati riservati trattamenti umilianti non necessari pur previsti per i casi di sospetta detenzione di sostanze stupefacenti o altro materiale. Due mesi fa il Consiglio d’Europa ha emesso, attraverso il rapporto dell’ACRI un documento con accuse di intolleranza nei confronti dei Rom e dei migranti da parte dell’Italia e delle forze dell’ordine italiane che rappresentano una grave manifestazione di carattere razziale. Ci si chiede ora quale dovrebbe essere l’effetto di questa direttiva. Chiaramente quello che si va a fondare poggia sul senso di insicurezza, una percezione che fa leva sul razzismo, sul classismo, sulla discriminazione in generale usata politicamente per restringere gli spazi di libertà.
Quelle che vengono definite zone rosse sono luoghi dove si svolgono manifestazioni e con questa direttiva ci si aspetta che ci sia un restringimento della libertà di protesta perché molte delle persone che organizzano le manifestazioni o che vi partecipano possono essere considerate pericolose secondo il più che vago criterio della direttiva. La narrazione del governo è quella secondo la quale in questo modo le città sono più sicure, ma la realtà è che in Italia negli ultimi dieci anni i reati sono calati di quasi il 20 per cento, e che quella del paese pericoloso senza il loro intervento è un falso storico, è semplicemente propaganda. Quello di agire sulla leva della paura è un metodo consolidato, cos’altro era se non questo la strategia della tensione degli anni 60/70? Creare le condizioni affinché le persone siano predisposte ad accettare una svolta autoritaria, ed è esattamente quello che sta succedendo adesso. E’ così che stanno cambiando lo stato di diritto, a piccoli passi, una direttiva alla volta, ponendo sempre il voto di fiducia così da esautorare, di fatto, il Parlamento.
Volete un altro esempio di come questo decreto cambierà le regole del gioco? Il ddl Sicurezza punta a trasformare di fatto università, aziende e perfino enti privati in veri e propri strumenti di sorveglianza dello Stato. L’Articolo 31 del ddl Sicurezza introduce, infatti, misure permanenti per il potenziamento dell’attività dei servizi di informazione. In particolare, modifica il comma 1 dell’articolo 13 della legge 124 del 2007, stabilendo una collaborazione obbligatoria tra le università e le agenzie di sicurezza nazionali, che prima era facoltativa. Si obbliga di fatto università, enti pubblici e aziende a consegnare informazioni ai servizi segreti, anche violando le attuali leggi sulla privacy.
Ma cosa significa in pratica tutto questo? Significa che informazioni sul reddito, sullo stato di salute, sulle idee politiche e sull’orientamento religioso dei cittadini potranno finire nelle mani dell’intelligence senza che questi lo sappiano. Se uno studente partecipa a una manifestazione o a un’occupazione il suo nome potrà essere segnalato ai servizi segreti. Professori e ricercatori che esprimono idee considerate scomode saranno quindi messi sotto diretta osservazione. E chi decide cosa è pericoloso e cosa no?
Chi sarà a stabilire chi va sorvegliato e chi no? Il governo di turno? L’intelligence? Tutto questo rischia di trasformare l’Italia in uno stato di sorveglianza permanente. Si potrà monitorare, controllare cittadini senza bisogno di una ordinanza di un giudice. Le università invece di essere luoghi di libertà e conoscenza diventeranno centri di controllo e censura. Le aziende pubbliche e private dovranno fornire dati senza possibilità di opporsi. Anche in questo caso vogliono farci credere che tutto sia stato fatto in nome della sicurezza, ma in realtà è l’ennesimo pretesto per avere un controllo totale sulle persone.
Il ricorso al voto di fiducia sui vari articoli sta inficiando l’azione delle opposizioni su questo e su altri provvedimenti. Questa azione di contrasto al libero dissenso non può essere però un alibi per quei partiti, organizzazioni e associazioni che si battono per il rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti. L’azione parlamentare è solo una delle opzioni, c’è bisogno che i cosiddetti corpi intermedi si diano una mossa e che si faccia sentire forte e chiara la voce di chi non si rassegna alla deriva fascistoide di questo governo.