Nessuna tregua a Lampedusa che continua a intercettare e raccogliere drammi e storie di umanità in cerca di approdi e di futuro. Nella notte l’ennesima tragedia del mare: un barchino si è spezzato, al largo dell’isola delle Pelagie, durante le operazioni di soccorso ed è morta una donna ivoriana di 26 anni.
Complessivamente erano 47 i subsahariani partiti da Sfax, in Tunisia, come i 40 salvati lunedì, quando una bimba di due anni è morta poco dopo il soccorso e altre 8 persone, tra cui almeno un bimbo e il suo papà, risultano ancora disperse. In 88, intanto, sono approdati sull’isola a bordo di due barchini partiti sempre da Sfax. I due natanti, con a bordo 39 e 49 persone, sono stati soccorsi dalla Guardia costiera e dalla nave Aurora della ong Sea Watch.
Hanno detto di essere originari di Costa d’Avorio, Camerun, Burkina Faso, Mali, Sierra Leone e Gambia. Ieri, sull’isola, ci sono stati in tutto 9 sbarchi con un totale di 483 persone. Fra loro i 46 superstiti del naufragio, il secondo in poco più di 24 ore, che si è registrato a circa 28 miglia a Sud di Lampedusa.
All’hotspot si contavano 1.283 ospiti, fra cui 103 minori non accompagnati; in mattinata 280 quelli trasferiti col traghetto di linea Galaxy a Porto Empedocle.
A Ravenna, attorno alle 10.45, è arrivata la Geo Barents di Medici senza frontiere con a bordo 57 migranti, compresi 13 minori non accompagnati.
E sono tante le storie di sofferenza raccolte. A Lampedusa innanzitutto.
“Yahe ha provato a trattenere il proprio bambino, Bintu, ma è stata punta dalle meduse e tra il dolore e le lesioni non ce l’ha fatta”: è il racconto di Francesca Saccomandi, operatrice umanitaria della Ong Mediterranean Hope, che è stata tra i soccorritori del gruppo di migranti naufragati lunedì nei pressi dell’isola di Lampedusa (Agrigento), a seguito del quale è morta una bimba di due anni poco dopo il soccorso.
Il bimbo disperso aveva un anno e otto mesi ed è uno delle due piccole vittime della tragedia del mare: non si hanno notizie nemmeno del padre, pure lui tra i dispersi. “L’altra bimba di due anni – racconta sempre Saccomandi – è arrivata sul molo Favarolo e hanno tentato inutilmente di rianimarla ancora proprio sul molo, ma non ce l’hanno fatta. Adesso è in una bara chiusa al cimitero di Lampedusa”.
L’operatrice umanitaria descrive le sensazioni vissute da Yahe, la mamma ventenne guineana di Bintu, durante e subito prima della tragedia: “La barca si è rovesciata, le punture delle meduse le hanno reso impossibile trattenerlo a sè.
Yahe – prosegue Francesca Saccomandi – mi ha anche raccontato che, poco prima del naufragio, nel vedere le coste di Lampedusa, insieme al bambino cantavano Boza Boza free, che è il grido di sollievo e di vittoria per avere attraversato il mare ed essere sopravvissuti”. (Agi)