Editoriale

Siamo uomini o caporali

Assistiamo, non senza una certa inquietudine, a un fenomeno che ha aspetti sia socio culturali sia politici di notevole importanza. Si tratta della relativizzazione di qualsiasi principio etico e morale. Questo fenomeno è diretta conseguenza della contrapposizione tra élite e popolo che una certa politica ha voluto generare.

Quando sentiamo un politico senza nessuna preparazione specifica rispondere a uno stimato professionista che cita, esprimendo la sua opinione, precisi dati e statistiche “questo lo dice lei” capiamo perfettamente come l’aver tolto qualsiasi valore alla competenza e al merito abbia creato le condizioni per cui le opinioni non sono valide quando suffragate da analisi, dati, conoscenza ma lo sono in quanto tali. Questo vale ovviamente anche per l’aspetto etico e morale.

Non riconoscere la necessità di avere dei comuni punti di riferimento etici e valoriali volendo dare dignità a qualsiasi opinione è il segno della perdita di orientamento della società. Abbiamo vissuto anni nei quali le cosiddette élite non sono riuscite a dare risposte efficaci alle esigenze delle persone, non sono riuscite a governare il cambiamento che c’è stato nella società e nel mondo del lavoro.

A questo fallimento è seguito un moto nichilistico che ha azzerato qualsiasi valore e qualsiasi riferimento collettivo (basti pensare alle polemiche intorno al 25 aprile). Proprio uno dei padri del nichilismo, Friedrich Nietzsche, ci spiega questo fenomeno “Colui che finalmente si accorge quanto e quanto a lungo fu preso in giro, abbraccia per dispetto anche la più odiosa delle realtà”.

Non si fa che parlare di populismo dando a questo termine l’accezione di movimento che conferisce al popolo la diretta responsabilità decisionale sulla gestione della cosa pubblica. Il populismo ha radici storiche nobilissime e tutt’altro che popolari, era figlio della più raffinata élite culturale europea.

E’ un movimento che sorge in Russia verso la metà dell’Ottocento come reazione al dispotismo zarista. Si possono fare i nomi di alcuni grandi scrittori come L. Tolstoj, F. Dostoevskij e I. Turgenev. In secondo luogo si pensa a quelle note espressioni teoriche dell’anarchismo che si sviluppano tra il 1840 e il 1850, come quelle di P. J. Proudhon, M. Bakunin e P. Kropotkin. Tutt’altra cosa della volgarità e dell’imbarbarimento del dibattito politico al quale stiamo assistendo.

Quella era comunque un’epoca ancora fortemente influenzata dal pensiero illuministico di stampo kantiano che affida all’uomo la responsabilità tutt’altro che banale di agire tenendo conto di valori di basse ben chiari e condivisi per il bene collettivo : “Se l’uomo è nulla rispetto al cosmo, è legislatore assoluto della morale, assumendo come norma del suo agire non l’utilità o la convenienza ma l’interesse universale, dettata dalla voce della coscienza”.

Kant in questa dichiarazione, afferma che non siamo nulla rispetto al cosmo, ma possiamo essere legislatori della morale, e questa morale deve far sì che tutti agiscano secondo coscienza per il bene universale di tutti, non nell’agire secondo convenienza o utilità.

Le stesse teorie successive che avevano come target proprio il pensiero illuministico, si guardavano bene dal creare condizioni di azzeramento di qualsiasi valore positivo. Nell’opera di contrasto a qualsiasi ideologia lo stesso Nietzsche distingueva tra nichilismo passivo che si limitava alla sola distruzione dei precedenti valori e delle precedenti ideologie e quello attivo che è, invece, il nichilismo che passa dal momento distruttivo a quello costruttivo.

Ci si rende conto che la risposta a quello che scrive Kant nella “Critica della ragion pratica”, “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e accuratamente la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me” non può essere il nulla, si sente l’obbligo di dare una risposta che, per quanto soggettiva, debba avere anche riferimenti universali.

Nel richiamo delle attuali classi dirigenti al populismo di tutto ciò non v’è traccia. Si è voluto intendere con questo termine una sorta di tana libera tutti dove ognuno finalmente si sente libero di poter dare dignità a qualsiasi idea e posizione politica indipendentemente dalla ricaduta che queste hanno sulla vita sociale e sulla tenuta stessa della nostra società.

Il dibattito sull’opportunità che AltaForte, la casa editrice vicina a CasaPound, potesse partecipare al salone del libro di Torino si è svolto nel solco di questo ragionare sui valori condivisi ai quali non dobbiamo rinunciare, il fascismo e il razzismo non possono essere considerati in nessun modo parte del nostro patrimonio comune.

Non importa quante persone appoggino queste posizioni politiche, non importa quanta parte del cosiddetto popolo voti per quei politici che in un modo o nell’altro si pongono come continuatori dei regimi nati da quelle ideologie.

La classe dirigente è tale se ha la lucidità, la preparazione, la cultura e la determinazione di prendere decisioni anche contro il popolo, per il bene comune altrimenti c’è il rischio che il popolo tra Barabba e Gesù continui sempre a scegliere il primo.

 

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