Le formazioni militari jihadiste hanno fatto ingresso nella città siriana di Aleppo, la seconda città più grande della Siria e si stanno scontrando con le forze governative. Lo afferma l’Osservatorio siriano precisando che gli insorti si stavano avvicinando ad Aleppo da diversi giorni. Un comandante delle forze jihadiste ha lanciato un messaggio registrato pubblicato sui social in cui si invitano i residenti a collaborare con le forze che intendono assumere il controllo di Aleppo. Si contano già 14mila sfollati.
In Siria l’opposizione armata contro il governo di Bashar al-Assad ha lanciato un attacco su larga scala nella provincia nord-occidentale di Aleppo. Gli scontri tra forze filo-turche e le truppe governative sostenute dalla Russia avrebbero causato oltre 150 morti tra i due schieramenti secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un gruppo di monitoraggio con sede a Londra. Diversi osservatori parlano dei combattimenti più violenti e sanguinosi da diversi anni, in cui le fazioni ribelli, tra cui Hayat Tahrir al-Sham (HTS), nata da una costola di Al Qaeda, avrebbe catturato una quindicina di villaggi e avanzerebbero speditamente verso Aleppo, seconda città del paese. Secondo alcuni report sarebbero già entrati nella grande città siriana. I ribelli sarebbero inoltre riusciti a bloccare l’autostrada M-5, la principale arteria del paese che collega Aleppo e Damasco, aprendo un secondo fronte nella parte orientale di Idlib, avanzando verso la città di Saraqib, pesantemente occupata dalle forze russe e sostenute dall’Iran. L’escalation – che si verifica in un momento di crescente instabilità regionale e a meno di 48 ore dalla fragile tregua raggiunta tra Israele e Hezbollah – avrebbe portato anche all’uccisione del generale di brigata del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) Kioumars Pourhashemi, alto consigliere militare iraniano in Siria, ucciso ad Aleppo.
Gli eventi delle ultime ore dimostrano quanto le braci del conflitto siriano covassero sotto la cenere: più di mezzo milione di persone sono state uccise nella guerra civile scoppiata nel paese nel 2011, dopo che il governo di Damasco ha represso violentemente le proteste a favore della democrazia. Nel 2020, Vladimir Putin, fedele alleato del presidente Bashar al-Assad, ha mediato un cessate il fuoco con Ankara che ha portato a una tregua nei combattimenti. Oggi Idlib è l’ultima roccaforte ancora in mano all’opposizione, in cui vivono oltre 4 milioni di persone, molte delle quali sfollate durante il conflitto in campi profughi senza alcuna assistenza. L’enclave è controllata principalmente da HTS e altre fazioni ribelli sostenute dalla Turchia, che operano sotto l’egida dell’Esercito nazionale siriano (SNA) e delle forze armate turche. Nelle ultime settimane lo stallo ha lasciato il posto a tensioni crescenti, al punto che a fine ottobre l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria Geir Pedersen aveva lanciato l’allarme. “Voglio dare un chiaro avvertimento – aveva detto Pedersen intervenendo al Consiglio di Sicurezza – la ricaduta delle violenze regionali in Siria è allarmante e potrebbe peggiorare, con gravi implicazioni per la pace e la sicurezza internazionale. La Siria richiede la nostra attenzione collettiva”.
Il leader dell’Amministrazione delle operazioni militari che orchestra gli attacchi, Hassan Abdul Ghani, ha dichiarato che le fazioni hanno preso il controllo completo della campagna occidentale di Aleppo dopo “intense” battaglie contro le forze del regime durate più di 36 ore consecutive.
Abdul Ghani ha dichiarato oggi, venerdì 29 novembre, che le squadre specializzate nello sminamento stanno continuando le loro operazioni per bonificare e mettere in sicurezza le aree catturate dai resti della guerra e finché ciò non sarà completato la campagna occidentale di Aleppo rimarrà una zona militare chiusa.
Spillover da Gaza e Libano?
Dall’inizio del conflitto tra Israele e Hezbollah, circa 425mila persone, tra cui molti siriani, hanno attraversato il confine fuggendo da attacchi aerei e violenze. Questi movimenti hanno aggravato la crisi umanitaria in corso in Siria, peggiorando ulteriormente una situazione di carenza cronica di servizi essenziali come carburante e acqua. Inoltre, Israele ha effettuato centinaia di attacchi aerei in Siria dal 7 ottobre 2023 ad oggi, prendendo di mira soprattutto infrastrutture e centri urbani, tra cui la capitale Damasco. Tel Aviv si è sempre giustificata dicendo di aver preso di mira centri e attrezzature di Hezbollah – che negli anni della guerra civile siriana ha contribuito a ribaltare le sorti del conflitto a favore di Damasco – e le rotte degli armamenti provenienti dall’Iran. Poche ore prima dell’entrata in vigore del cessate il fuoco, l’aviazione israeliana ha distrutto tre valichi di passaggio tra la Siria e il Libano. “Il messaggio di Netanyahu è chiaro – commentava il Jerusalem Post – Israele non ha intenzione di consentire a Teheran di rifornire i suoi proxies attraverso la Siria”.
Perché adesso?
Gli analisti sostengono che i ribelli hanno colto l’occasione per avanzare in un momento in cui Hezbollah appare fortemente indebolito. Nel corso dell’ultimo anno, l’Iran ha visto il suo prezioso alleato libanese massacrato da una feroce campagna di bombardamenti e attacchi di terra. Il Partito di Dio, il cui leader Hassan Nasrallah è stato ucciso in un bombardamento a Beirut e i cui vertici sono stati decapitati con una serie di spettacolari uccisioni extragiudiziali, è stato colpito come mai prima d’ora. E con la Russia impegnata in Ucraina, il governo di Damasco vede i suoi due principali sponsor – che lo hanno aiutato a rimanere in piedi – indeboliti o impegnati su altri fronti. Questo avrebbe convinto le forze di opposizione a tentare una spallata di cui nessuno aveva immaginato la portata. Difficile, ad oggi, prevederne gli esiti. La Russia ha ancora una presenza significativa in Siria e, sebbene Assad e Hezbollah abbiano subito perdite significative per mano di Israele, sono ancora più che in grado di riorganizzarsi e lanciare una controffensiva.
Il commento
Di Francesco Petronella, ISPI
“L’offensiva del variegato fronte ribelle siriano si inserisce in un contesto già incandescente. Per mesi si è parlato del riavvicinamento tra il regime di Assad e la Turchia di Erdogan, che appoggia alcune delle milizie coinvolte, ma l’operazione non è andata bene. Dal punto di vista turco, l’offensiva verso Aleppo, seconda città del paese e snodo strategico essenziale, può avere un significato quadruplice: sfruttare la debolezza di Damasco, dovuta alla ‘distrazione’ dei suoi alleati russi, iraniani e Hezbollah alle prese con Israele; riaffermare il proprio peso strategico in questo quadrante; favorire nelle zone strappate alle forze di Assad il ritorno dei profughi siriani, che per i raid aerei russi e del regime potrebbero creare una nuova ondata migratoria verso la Turchia; conquistare tramite le milizie filoturche l’area di Tel Rifaat, obiettivo chiave per la sua vicinanza ad Afrin e al-Bab, già sotto il controllo turco. Mettere in sicurezza questa zona, consentirebbe ad Ankara di consolidare la sua influenza nella Siria nordoccidentale, creando una zona cuscinetto contigua lungo il confine soprattutto in funzione anti-curda.”
L’organizzazione jihadista-salafita di Hayat Tahrir al Sham (Hts, ex Fronte Al Nusra) è al centro della scena politica siriana e internazionale dopo la recente offensiva contro le forze lealiste del presidente Bashar al Assad, che ha portato i miliziani di Hts a conquistare Aleppo, secondo centro siriano per numero di abitanti. Le origini di Hayat Tahrir al Sham – classificata come gruppo terroristico dall’Onu e dell’Ue – risalgono alla guerra civile scoppiata nel 2011 e ancora oggi il gruppo rappresenta un attore cruciale all’interno del complesso panorama siriano. Nel 2016 il leader di Jabhat al Nusra, Abu Muhammad al Jawlani, annuncia la dissoluzione della formazione qaedista e la nascita di un’altra organizzazione: Jabhat Fatah al Sham, che interrompe tutti i legami con Al Qaeda. A questa prima fase di riorganizzazione ne segue un’altra, nel gennaio del 2017, quando Jabhat Fatah al Sham si fonde con altre fazioni jihadiste e prende il nome di Hayat Tahrir al Sham, sempre sotto la guida di Al Jawlani. Nel 2018 il Dipartimento di Stato statunitense inserisce Hts all’interno della lista delle organizzazioni terroristiche internazionali.
Prima del lancio dell’offensiva del 27 novembre, Hayat Tahrir al Sham controllava un’area limitata ad alcune delle zone più a nord-ovest della provincia di Idlib, con un numero totale di circa diecimila miliziani, come chiarito dalla risoluzione 2021/655 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Dal 2017, Hts diventa quindi la fazione jihadista numericamente e qualitativamente più importante a opporsi al governo del presidente Al Assad, cercando di rovesciarlo. Da quando l’organizzazione è diventata un attore politico rilevante sul campo, le azioni militari non si sono limitate solamente ad attaccare le forze lealiste, ma sono state dirette anche verso attori locali in grado di contestare il controllo territoriale del gruppo. Tra queste, vale la pena ricordare gli scontri con cellule qaediste come Hurras al Din e Ajnad al Qawqaz, il contrasto alla presenza dello Stato islamico (Is) nel nord-est del Paese e l’assoggettamento delle fazioni islamiste militarmente più deboli come Ahrar al Sham.
Hayat Tahrir al Sham è riuscita con il tempo a ritagliarsi uno spazio nelle relazioni con attori regionali influenti. Su tutti la Turchia che, dallo scoppio della guerra civile in Siria, sostiene militarmente ed economicamente un insieme di fazioni di miliziani ribelli, riuniti sotto il nome di Esercito nazionale siriano (Ens), che si oppongono al governo del presidente Al Assad. Nel corso del più che decennale conflitto civile, la Turchia ha tentato di smussare le differenze tra Ens e Hts e favorire un coordinamento sul campo per fini militari, secondo il sito di informazione Al Monitor. Da parte sua, l’ex rappresentante speciale degli Stati Uniti per la Siria, James Jeffrey, ha sottolineato come Hts sia diventato “l’opzione meno peggiore tra le varie presenti a Idlib”, vista la sua capacità di contrastare l’Is e le cellule affiliate ad Al Qaeda. La sinergia di interessi tra Turchia, Esercito nazionale siriano e Hayat Tahrir al Sham è resistita nel tempo. Secondo quanto riferito dall’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), centro di monitoraggio con sede a Londra ma con un’ampia rete informativa in Siria, l’offensiva lanciata dai gruppi ribelli il 27 novembre è stata effettuata con il sostegno della Turchia.
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