Politica

Esclusa la violenza anticipò Fridays for Future. Toni Negri, il filosofo operaista avversato da Br e operai

La morte di Antonio (Toni) Negri ci riporta indietro nel tempo e nella memoria di un periodo tra i più turbolenti e straordinari della storia Italiana del dopoguerra. Il Negri filosofo, teorico politico e attivista marxista è stato una figura di spicco nel pensiero politico contemporaneo. Il lavoro di Negri abbraccia varie discipline, tra cui la filosofia, la teoria politica e l’analisi sociale.

Ma quello che rimane nella memoria di tanti che si impegnano in politica tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’80 è il suo attivismo politico. Prima in Potere operaio poi come fondatore di Autonomia Operaia Negri è associato allo sviluppo del marxismo autonomista, una teoria marxista che enfatizza l’autonomia della classe operaia nella sua lotta contro il capitalismo. Il marxismo autonomo rifiuta la tradizionale attenzione al ruolo del partito d’avanguardia e sottolinea invece l’autorganizzazione e l’azione diretta dei lavoratori. In uno dei lavori più noti di Negri, “Empire”, scritto in collaborazione con Michael Hardt e pubblicato nel 2000, Negri sostiene che le nozioni tradizionali di imperialismo non sono più adeguate per descrivere le dinamiche globali del potere e propone il concetto di “Impero” come una nuova forma di sovranità globale, caratterizzata da reti di potere decentralizzate e diffuse, concetto ripreso in “Multitude: War and Democracy in the Age of Empire” (2004) dove approfondisce il concetto di moltitudine come contropotere dell’Impero, sottolineando il potenziale per i movimenti democratici ed emancipatori che emergono dalla moltitudine.

Il momento più drammatico dell’attività di Negri è stato il suo coinvolgimento nell’inchiesta “7 aprile”.  In base a quello che fu definito “Teorema Calogero” il 7 aprile 1979 l’allora docente di Scienze politiche a Padova, Toni Negri, e altri esponenti del movimento Autonomia Operaia furono arrestati con l’accusa di complicità con le Brigate rosse. 

Le sentenze di Primo grado avallano la tesi dell’accusa, Autonomia Operaia e Brigate rosse erano in contatto tra loro, partecipavano con tattiche diverse ad un’unica strategia, quella che doveva portare al Partito Armato e all’organizzazione di una rivoluzione armata. Ma al termine di una vicenda giudiziaria durata anni (la sentenza di secondo grado è dell’8 giugno 1987), dopo che il processo padovano aveva fatto giustizia dell’impianto accusatorio e il pm Giovanni Palombarini aveva smentito e confutato Calogero, gli imputati, in primo grado condannati a pene pesantissime, furono assolti da quasi tutte le accuse, e le loro pene quasi sempre ridotte a misura della carcerazione preventiva già patita. 

Fin qui l’aspetto giudiziario. C’è da riflettere sul momento storico e sulla posizione che prese al tempo il Pci su questa vicenda. L’operazione 7 aprile fu un momento determinante nello scontro sociale che si è consumato negli anni ‘70. Un battage giornalistico di notevole dimensione nel quale si distinse l’Unità, accusò Negri e i suoi coimputati di ogni avvenimento degli ultimi anni. Secondo questa teoria Negri era ideatore dei primi sequestri di persona effettuati dalle Br, membro della direzione Br sin dalla metà del ’73, il telefonista che comunicava con la famiglia Moro durante il sequestro del leader Dc, ma anche, con un eccesso di fantasia, l’uomo che «insegnava la tecnica di costruzione delle bottiglie molotov» nonché il mandante dell’omicidio del giudice Emilio Alessandrini (ucciso da Prima Linea, un’organizzazione armata per altro distinta dalle Br). Fu l’applicazione di una sorta di “legislatura di emergenza” quella portata avanti dall’inchiesta condotta dai giudici Calogero e Gallucci che costituì per anni una vera e propria sospensione dei diritti della difesa.

 Gli imputati vennero sottoposti al regime delle carceri speciali come se fosse già comprovata la loro colpevolezza fino alla sentenza di primo grado, quasi sempre senza avere un confronto con i pentiti che li accusavano, e a volte, come nel caso di Toni Negri, senza mai incontrare il giudice istruttore. In quelle carceri si compì un ulteriore elemento di pressione psicologica con la coabitazione con i brigatisti, che li consideravano traditori e ai quali promisero vendette. Molti detenuti tra i quali Ferrari Bravo, Vesce e Serafini subirono un pesante aggravamento delle loro condizioni fisiche fino a portarli a morte precoce.

Negli anni di carcere preventivo, i detenuti del “7 aprile” costituirono in carcere la cosiddetta “Università di Rebibbia”, una esperienza di condivisione di saperi ed esperienze nella quale furono trattati testi come “L’anomalia selvaggia” di Negri e “Convenzione e materialismo” di Paolo Virno, due fra i testi più importanti degli anni Ottanta, attraverso i quali l’esperienza dell’autonomia e del post-operaismo si è prolungata fino ad oggi. 

Al di la della storia giudiziaria di Toni Negri rimane il suo notevole contributo di idee e l’elaborazione di una visione estremamente moderna, al limite del visionario, riconosciuto, oggi, non solo dai suoi compagni ma anche da quel mondo accademico che al tempo gli girò le spalle.

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