Come mai la contraccezione orale, metodo che fornisce una sicurezza assoluta e facile da usare, nel nostro Paese viene scarsamente utilizzata? Quanto incidono i pregiudizi cattolici sul fatto che solo il 14% delle donne italiane (stesse percentuali di Iraq e Botswana) prende la pillola?
Sono domande che poneva la psichiatra Elvira Di Gianfrancesco in un servizio scientifico, con tratti poetici, a luglio, sul mensile Left. Arrivano adesso le anticipazioni sulla decisione dell’Aifa che spiegano perché in Italia non c’è ancora La libertà di vivere una storia d’amore.
L’Italia verso l’ok definitivo alla pillola contraccettiva gratuita. La misura va a coinvolgere solo le donne al di sotto dei 26 anni di età e i medicinali dovrebbero essere dispensati nei consultori o comunque in strutture pubbliche come gli ospedali. Il via libera martedì scorso da parte del Cda dell’Aifa. Ora si attende la ratifica finale con una delibera dello stesso Cda dell’Agenzia italiana del farmaco ma la decisione ha già avuto parere positivo da parte della conferenza delle Regioni.
Sarà la Commissione tecnico scientifica (Cts) dell’Aifa a dover esprimere la sua valutazione sulla rimborsabilità. Un provvedimento atteso ma i paletti sull’età e sui consultori (escludendo le farmacie) già fanno scattare le polemiche. “È un boicottaggio per le ragazze del Sud ma anche per le giovanissime stesse, senza contare che le madri e le donne più grandi e più fragili vengono escluse dall’accesso alla maternità consapevole”, dicono le senatrici Cecilia D’Elia, portavoce del Coordinamento nazionale delle donne Pd e Beatrice Lorenzin, vicepresidente del gruppo dem che aggiungono: “Distribuire la pillola anticoncezionale a tutte le donne, come aveva proposto la Commissione tecnico-scientifica di Aifa aveva un costo stimato di 140 milioni di euro contro i 4 milioni della proposta rivista dal Cda Aifa.
È chiaro che in mezzo c’è un intervento del governo – affermano D’Elia e Lorenzin – e che non si tratta solo di risparmiare risorse, ma di un’impostazione culturale sbagliata e punitiva nei confronti delle donne”.
Il 21 aprile scorso la Commissione tecnico scientifica (Cts) e il Comitato prezzi e rimborsi (Cpr) dell’ente regolatorio avevano reso il loro parere positivo ma senza limiti di età. Poi il 24 maggio la decisione venne sospesa e rinviata per motivi economici di sostenibilità della spesa.
È dal 1993 che la pillola contraccetiva è nella classe dei farmaci non rimborsabili; successivamente, nel 2015, sulla base dei risultati di studi scientifici relativi alla sicurezza dei contraccettivi ormonali, che segnalavano possibili rischi di trombo-embolismo venoso, la commissione Tecnico-scientifica dell’Aifa stabilì di spostare tutti i contraccettivi ormonali per uso sistemico dalla fascia A (rimborsabili) alla fascia C (non rimborsabili). Nel frattempo, grazie al titolo V della Costituzione, che permette l’autonomia nella gestione della sanità, alcune Regioni avevano cominciato a muoversi in modo autonomo in merito alla rimborsabilità della pillola contraccettiva. Fra le prime, nel 2017, sono state Emilia Romagna e Puglia, seguite da Piemonte, Toscana, Lombardia, Marche e Lazio.
Ora, in quest’ultima decisione, D’Elia e Lorenzin vedono “un intento chiaro di vanificare” i percorsi regionali già attivi “e che solo con l’aiuto dello Stato potrebbero essere ampliati a tutte le donne”. E anche se “è una stretta politica rispetto al progetto iniziale, perchè dal punto di vista economico era sostenibile”, dice dal canto suo la presidente di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, Luana Zanella, si tratta intanto di un “primo passo. Adesso aspettiamo l’ufficialità al più presto”. (Ansa)