Editoriale

ANP, salgono le quotazioni per Barghouthi, il Mandela palestinese

Era da tanto tempo che non si vedeva una mobilitazione così massiccia e così estesa a livello internazionale come quella che sta andando in scena da un mese a questa parte a favore della richiesta di cessate il fuoco a Gaza. Con tutte le differenze tra le varie posizioni politiche, con tutte le contraddizioni che vedono gesti e dichiarazioni di stampo antisemita anche a sinistra, non c’è dubbio che quello che sta succedendo nelle piazze di tutto il mondo è qualcosa di molto importante. Ed è un fenomeno che non può essere ignorato dalle diplomazie specialmente occidentali. Ed infatti non lo è ignorato, per esempio, dalla politica Statunitense. Nei toni e nelle parole di tutti i politici americani a cominciare dal presidente Biden si è notato da subito un invito, anche pressante, a Benjamin Netanyahu affinché moderasse la portata della risposta all’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas.

Ed è per questo che il primo ministro israeliano che potrebbe essere impegnato in una guerra di lunga durata e di incalcolabile difficoltà, si potrebbe trovare nelle condizioni di avere solo poche settimane per eliminare Hamas, prima che l’opinione pubblica internazionale, soprattutto negli Stati Uniti produca effetti politici che inficino i suoi attacchi a Gaza.

Non è un caso che da qualche giorno si stia prospettando che una forza araba multinazionale potrebbe dover prendere il controllo di Gaza al termine di una campagna militare che sarebbe di conseguenza più breve di quanto vorrebbe la dirigenza israeliana.  Questa coalizione dovrebbe portare l’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas a prendere il posto di Hamas nel governo di Gaza.

Abbiamo scritto qualche giorno fa che Biden non può permettersi di affrontare la campagna elettorale con la guerra in Ucraina in corso, si esporrebbe alla massacrante propaganda di Trump. Ma se è valida questa teoria ancor più lo è quella secondo la quale andare allo scontro elettorale con le piazze piene di manifestanti contrari alla guerra a Gaza combattuta dal più fedele alleato degli USA sarebbe un massacro.

L’America non può dettare a Israele cosa fare. Ma Netanyahu non può ignorare quello che arriva da Washington, il principale garante della sicurezza di Israele. A costo di non arrivare, suo principale obiettivo, alla distruzione totale della dirigenza e della potenza bellica di Hamas.

Il progetto di una forza pan araba che prenda il controllo di Gaza, però, è messo fortemente in dubbio da una serie di fattori. Il primo è la poca volontà da parte delle altre potenze dell’area di impegnarsi in una operazione politicamente molto rischiosa. La seconda riguarda il ruolo che avrebbe Mahmoud Abbas anziano, corrotto e screditato leader dell’ANP.

A questo punto potrebbe rientrare in gioco l’eminenza grigia della dirigenza palestinese, quel Marwan Barghouthi, uomo-simbolo per il popolo palestinese (ma considerato un terrorista da Israele), chiamato da molti il Mandela palestinese. Lui sì che avrebbe il carisma per prendere in mano la situazione. C’è un solo, non indifferente ostacolo, Barghouthi è stato arrestato il 15 aprile 2002, e da allora è detenuto in un carcere di massima sicurezza ed è stato condannato a 5 ergastoli e 40 anni di carcere. Prima di morire, Mandela ha voluto lanciare tramite il suo amico di sempre, Ahmed Kathrada, la campagna per la liberazione di Marwan Barghouthi e dei prigionieri palestinesi proprio dalla cella di Robben Island in cui fu detenuto per vent’anni. Mandela diceva che: “La Palestina è la questione morale del nostro tempo”».

Chi di noi allora avrebbe immaginato che nel ’90 ci sarebbe stata la pace in Sud Africa e Mandela sarebbe stato non solo liberato, ma ne sarebbe divenuto il primo presidente nero? E allora bisogna avere il coraggio di andare oltre il presente, oltre le difficoltà e i pregiudizi reciproci e tentare l’impossibile. Anche perché il possibile ha già dimostrato di non essere abbastanza.

Condividi