Editoriale

Buon senso senza veli

Le polemiche (non tante quante ne avrebbe meritate) provocate da un articolo recentemente uscito su Libero a firma di Souad Sbai, giornalista e politica italiana, ex Popolo della Libertà e ora Lega Nord sulla condizione della donna nel mondo islamico mi hanno spinto ad informarmi sul fenomeno del velo in tutte le sue forme. L’autrice fa riferimento a maschere metalliche che sarebbero l’ennesima degenerazione dell’usanza di coprire il corpo ed il volto delle donne nelle società islamiche. In effetti, questo genere di accessorio viene usato dalle donne Bandari, una popolazione del sud dell’Iran. Questa usanza è però spiegata in maniera completamente diversa da altri osservatori.

Il fotografo e reporter francese Eric Lafforgue che ha realizzato un lungo ed accurato reportage proprio sulle donne Bandari ne da una lettura totalmente diversa.

“Nel sud dell’Iran, molte donne Bandari indossano ancora quotidianamente il «boregheh», una maschera intrigante. Questo accessorio tradizionale ha dato loro un’aria misteriosa per secoli. Attraverso la pazienza, la diplomazia e il consumo di litri di tè, sono stato in grado di rompere i segreti di questi ornamenti e il loro significato, durante le mie visite lungo il Golfo Persico e l’isola di Qeshm. Queste maschere vengono indossate sia da sciiti che da sunniti”

“La maschera dell’isola di Qeshm è sorprendentemente simile a dei grandi baffi, tanto da ricordare Thomson e Thompson dei libri di Tintin. Presumibilmente è stata progettata diversi secoli fa per ingannare gli invasori camuffando le donne per farle apparire come uomini durante le guerre.”

Molte donne Bandari stanno comunque abbandonando questa tradizione per passare al semplice velo. La funzione delle maschere era anche quella di proteggersi dal sole che nel Golfo Persico specialmente in estate è particolarmente cocente.

Chiamare museruola come ha fatto Souad Sbai nel suo articolo è quanto di più diffamatorio si possa immaginare e credo abbia l’unico scopo di disinformare i lettori e orientarne l’opinione sull’Islam.

Analizzando il fenomeno che sinteticamente possiamo definire velo ma che è in effetti ha una serie di articolazioni che vanno da coprire i soli capelli fino alla totale sparizione del corpo della donna sotto il burka, ci si imbatte in una varietà di diverse opinioni anche all’interno dello stesso mondo islamico ed anche tra le stesse donne che ne fanno parte.

L’opinione della sociologa egiziana Laila Ahmed su questo argomento, per esempio, è che il velo non è necessariamente un simbolo di segregazione. Le donne possono avere un ruolo nella sfera pubblica proprio grazie al velo perché in questo modo esse non costituiscono una minaccia all’etica socio-culturale islamica. Grazie al velo la donna islamica ha la possibilità di crearsi uno spazio pubblico legittimo. Per quanto l’uso del velo possa apparire conservatore, secondo Laila Ahmed il numero sempre maggiore di donne che hanno accesso alle università, alle professioni e allo spazio pubblico, lo devono anche grazie al rispetto di questa tradizione. Questo fatto fa sì che l’usanza di indossare il velo non possa essere considerato necessariamente un fenomeno regressivo essendo uno strumento non per relegare la donna in casa ma per favorirne il ruolo sociale.

”Neppure la più ardente femminista del secolo scorso ha mai sostenuto che le donne europee potessero liberarsi dall’oppressione della moda vittoriana (concepita per costringere la figura femminile a conformarsi a un ideale di fragilità per mezzo di corpetti soffocanti che spezzavano le costole adottando semplicemente l’abbigliamento di un altro tipo di cultura. Né si è mai sostenuto che l’unica possibilità per le donne occidentali fosse quella di abbandonare la loro cultura per trovarsene un’altra, dal momento che il predominio maschile e l’ingiustizia verso le donne sono sempre esistiti all’interno di essa” .

E’ interessante notare anche che per lo stesso movimento femminista arabo che pur combatte per l’ emancipazione della donna ritenendo giustamente che le società islamiche hanno su questo argomento un lungo percorso da compiere, il velo non sembra rappresentare uno strumento culturale, politico o ideologico sotteso alla sottomissione delle donne agli uomini ma una convinzione personale legata alla fede. Da questo punto di vista il divieto del velo (abbiamo assistito ad atti di vera e propria violenza in questo senso quando gendarmi francesi hanno obbligato donne islamiche a togliere il cosiddetto burkini ad alcune donne islamiche sulle spiagge la scorsa estate) va contro il diritto della donna esattamente quanto l’obbligo di indossarlo. Sembra quindi che questo indumento che fa tanto discutere sia in realtà un problema tutto occidentale.

Se poi andiamo ad analizzare l’evoluzione del velo scopriamo storie particolarmente interessanti. L’hijāb, per esempio (che è una delle numerose articolazioni del velo) rappresentava, in principio, il drappo di seta dietro cui si celava il califfo per tutelarsi da sguardi importuni . Lo stesso termine hijāb era estraneo all’Islam e solo alla fine dell’ottavo secolo fu adottato in Egitto con i Fatimidi al fine di glorificare la figura del Sovrano.

Per i Sufi l’hijāb non aveva nulla a che vedere con la donna. Era, invece, un simbolo di invulnerabilità per l’uomo che lo avesse indossato.

In IRAN in origine il chādor indicava lo status sociale di una donna appartenente alla nobiltà. Il suo impiego, infatti, serviva loro per distinguersi dalle donne che giravano con il capo scoperto che al tempo erano le prostitute e le serve.

Ancora più interessante è vedere quale fu, in passato (ed in alcune situazioni ancora adesso) l’uso del velo nelle atre religioni

Nel cristianesimo in base al concetto del peccato originale e della responsabilità di Eva nel cogliere il frutto proibito tentando così l’uomo, i capelli femminili venivano considerati come un attributo di bellezza e come tale dovevano essere per modestia coperti. Parallelamente inizia la demonizzazione del corpo femminile che ancora pervade la fede cristiana apostolica romana. Questa differente considerazione della donna rispetto all’uomo appare evidente anche in alcuni passi biblici.

“L’uomo invece non deve coprirsi il capo, perché è l’immagine e la gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell’uomo; perché l’uomo non è dalla donna, ma la donna dall’uomo; anche perché l’uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo; Perciò la donna deve avere sul capo un segno di autorità, a motivo degli angeli (Corinzi 11,7-10)

L’obbligo del velo all’interno delle chiese cattoliche e la pratica non obbligatoria di indossarlo fuori da esse è rimasto in vigore fino ai nostri giorni. Rimane in uso nella figura clericale delle suore, che lo mantengono sia nella pratica religiosa che nella vita sociale.

Nell’ebraismo esistono ancora oggi delle frange più radicali e ortodosse in cui il velo per la donna si trasforma in vera e propria copertura totale, molto simile al Niqab, Abaya, Burqa “islamici”. Possiamo anche dire che sono questi ultimi veli ad essere simili al velo integrale ebraico essendo questa pratica in uso tra gli ebrei ben prima dell’Islàm.

Un’ultima curiosità ci viene direttamente dalla lettura del Corano. Secondo le scritture rivelate alla humma (la comunità dei fedeli dell’Islam), infatti, l’uso del velo assume diverse funzioni e significati. Si ha una chiave di lettura allegorica lè dove si parla di separazione fra giorno e notte: il tramonto come velo della notte che incombe sul giorno. Ancora il velo come “Limbo” o “muro” sull’’”Al-A’râf” che funge da separazione tra la condizione felice e virtuosa dei giusti del Giardino e la condizione infelice e penitente degli ingiusti del Fuoco. Lo si cita come cortina protettiva in riferimento alla figura dalla stessa Maria. C’è una “cortina” spirituale, un “velo disteso” che si erge durante la lettura del Corano. C’è una cortina tra uomo (o nello specifico il Profeta) e Dio, che non rende immediatamente accessibile la sua visione. Ed in questo specifico caso l’uso è esteso agli uomini. Per ultimo, il velo si rivela essere una condizione particolare esclusiva, riservata alle mogli del Profeta.

Come si vede basta andare ad analizzare il fenomeno con curiosità e senza il filtro dell’islamofobia per trovarsi di fronte ad una notevole varietà di comportamenti tali da impedire a chiunque di fare la semplicistica associazione tra velo e repressione della donna. Tutto questo sia detto senza che suoni come una assoluzione di quei comportamenti misogini che sono presenti nelle società e nelle comunità islamiche e che vanno sempre stigmatizzati.

 

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