Editoriale

GUERRA E PACE Beffare i manganelli del governo e le ipocrisie dell’opposione si può. Basta “Camminare verso il giusto e il vero/ combattere per il vero, il giusto/ conquistare il giusto, il vero”

Oggi 24 febbraio è il secondo anniversario dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’inizio di una lunga guerra della quale non si riesce a vedere la fine. Nel frattempo altre parti del mondo hanno visto esplodere crisi con effetti a volte devastanti come nel caso di Gaza. Quale occasione migliore per far sentire la voce di quanti (già, quanti?) non si arrendono a questa deriva bellicista che sta trascinando il mondo interro verso scenari fino a qualche anno fa inimmaginabili? E invece niente, o poco, si sta muovendo.

Nonostante l’impegno su più piazze e città, la capacità di impatto è purtroppo molto bassa relegando questa serie di iniziative locali a livello di azioni meramente testimoniali. Ben altro servirebbe per incidere con maggiore efficacia sul dibattito politico. Veti incrociati e diffidenze tra le varie organizzazioni che rappresentano il variegato mondo del pacifismo stanno paralizzando qualsiasi tentativo di trovare un minimo comun denominatore tra le varie posizioni e lanciare una campagna di mobilitazione unitaria e nazionale.

Si cammina sul filo dei distinguo, delle parole calibrate per evitare di scivolare su qualche buccia di banana e trovarsi ad essere etichettati come antisemiti o filo putiniani. Siamo tornati ai primi giorni della guerra quando qualsiasi riflessione che non fosse disprezzo per i russi e condanna per l’invasione veniva censurata come complice dell’invasione.

Non illudano le tante iniziative locali, non è così che si incide su una realtà marmorea fatta di un intreccio di eventi bellici e di un massiccio ritorno al riarmo. La rediviva NATO fa da puntello alla politica americana (come potrebbe essere diverso?), Israele da parte sua forza la mano contro i palestinesi ben oltre gli interessi di Biden preoccupato per le ripercussioni sulla sua campagna elettorale, dall’altra parte del globo anche il pingue Kim Jong-un non vuole essere da meno e, da diversi mesi a questa parte, fa sentire la sua presenza con lanci di missili ormai con frequenza settimanale. Insomma ci sarebbe abbastanza carne al fuoco per preoccuparsi e fermarsi a riflettere su quanto l’opinione pubblica sia in grado di intervenire in questa situazione per tentare almeno di mettere un argine alla follia bellica.

Troppo delicato il tema, troppo alto il rischio di “pestare un merdone”, troppo debole e diviso il sindacato, si va in ordine sparso con la solita debolezza che si riflette sulla gestione della piazza. Come ampiamente dimostrato dai fatti di Pisa e Firenze ieri e prima ancora davanti alla Rai la scorsa settimana, o a Milano durante le manifestazioni in memoria di Navalny, oppure a Napoli nei cortei di solidarietà ai civili palestinesi lo spontaneismo con il quale gli organizzatori hanno tentato di prendere la piazza è stato spazzato via da un uso della forza da parte degli organi di polizia che non si vedeva dai tempi del G8 di Genova.

C’era da aspettarselo? Sì, dovevamo aspettarci che quando dal ministero degli interni arrivano ai vertici delle forze dell’ordine segnali (se non ordini precisi come fu per l’appunto al G8) che reprimere anche brutalmente il dissenso sarà considerato accettabile, andare in piazza a protestare sarà un esercizio che comporta una dose non trascurabile di rischio. D’altra parte con la destra al Governo, il dissenso è messo allo stesso livello di una questione di ordine pubblico e va, di conseguenza, trattato allo stesso modo. E allora diventa sempre più labile fino a scomparire il confine tra il legittimo esercizio della forza e la violenza, come hanno potuto sperimentare i ragazzi e le ragazze ieri in Toscana.

Tale è stata la brutalità delle cariche della polizia da far indignare persino un personaggio che non le manda a dire e a fare come il sindaco di Terni Stefano Bandecchi il quale in un comunicato ha espresso la sua indignazione per quanto accaduto “Il malessere dei giovani non può essere compresso con la violenza. Alle nuove generazioni abbiamo il dovere di insegnare l’importanza del dialogo e dell’ascolto”. Di fronte a questa duplice minaccia (la guerra e la repressione) la risposta dovrebbe essere forte e senza tentennamenti.

Da una parte un’azione politica all’interno delle istituzioni lucida e coerente da parte delle opposizioni. Basta tatticismi, non è tempo di bizantinismi e distinguo, si mettano per una volta da parte gli interessi elettorali e si lotti per ciò che è giusto. Dall’altra i movimenti, le associazioni, i sindacati ritrovino la via dell’unità mettano da parte gli interessi di parte e provino a far sentire la propria voce in tutte le forme e modalità possibili contro la guerra e contro la repressione del dissenso prima che sia troppo tardi.

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