Editoriale

In una “Democrazia” putrefatta il braccio teso diventa un goliardico saluto tra buontemponi. Ma io me la ricordo Acca Larenzia

 

Me lo ricordo il giorno di  Acca Larenzia, me lo ricordo bene. Ero nell’auletta del coordinamento delle strutture di movimento nella facoltà di Lettere alla Sapienza. Ero insieme ad altri compagni quando arrivò la notizia che i fascisti avevano provato ad attaccare le sedi del Comitato di quartiere e di Pci e Psi all’Alberone. Subito dopo arrivò anche la notizia del motivo per cui si era scatenata questa rappresaglia, l’attentato alla sede del Fronte della Gioventù. Decidemmo di andare al Comitato di quartiere, prendemmo la mia macchina, una Fiat 500, eravamo in tre. Uno dei due altri compagni da lì a pochi giorni sarebbe stato raggiunto da un mandato di cattura proprio in relazione a questi fatti. Fu scagionato, ovviamente, ma il ricordo che mi rimane di lui quel giorno fu una frase che disse mentre con la macchina attraversavamo Piazza Santa Croce in Gerusalemme “come cazzo fanno a dormire stanotte dopo quello che hanno fatto”. Si riferiva ovviamente agli attentatori. Un contrasto così stridente tra la grande umanità di questa frase e il mandato di cattura che lo avrebbe raggiunti di lì a pochi giorni mi rimase scolpito nella memoria, fu, per me, un grande insegnamento da parte di un compagno di cui avrei avuto sempre grande stima.

Nel quartiere Appio tuscolano dove si svolsero i fatti da quel giorno cambiò tutto. La tensione rimase altissima per molto tempo, il pericolo per tutti noi che ci abitavamo era qualcosa che percepivamo sulla nostra pelle. Non facevamo mai lo stesso percorso, non rientravamo mai soli dopo il tramonto, eravamo sempre in osservazione delle persone che si incontravano per strada. Lo stesso valeva, credo, anche per i militanti di destra, era qualcosa che ci accomunava.

Poi iniziarono le commemorazioni, ogni anno, con ogni governo, sempre la stessa liturgia. Tutti in fila, tutti vestiti di nero, tutto ad urlare il “presente” dopo il nome delle vittime. Quest’anno è diverso, però. Quest’anno i loro referenti politici sono al governo, potrebbe essere l’occasione per prendere le distanze apologia e dall’esaltazione del fascismo che questa manifestazione rappresenta. Invece non sarà così, la presidente Meloni tace, il presidente La Russa fa sapere che a dosi omeopatiche il fascismo va bene, ormai è stato sdoganato, aspettiamo la Cassazione magari metterà la parola fine alla legge 645 del 1952, la cosiddetta legge Scelba, sancirà finalmente che il braccio teso è un goliardico saluto tra buontemponi. L’antifascismo ormai è roba vecchia, chincaglieria da Prima repubblica superata dalla politica degli ultimi trenta anni, prima con Craxi poi con Berlusconi il fascismo non è più un crimine come ricordava sempre il Presidente Pertini, è un folcloristico revival dei bei tempi che furono. Fate pure le vostre adunate, salutatevi pure come volete tanto l’importante è non andare in un teatro a gridare “Viva l’Italia antifascista”. Quello no, è meglio non farlo, non sta bene rovinare il bel clima borghese delle prime alla Scala, c’è anche il presidente del Senato, che diamine.

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