Mai come in questo momento la situazione internazionale sembra essere sull’orlo di una guerra generalizzata. Non solo il conflitto tra Russia e Ucraina con le recenti appendici delle minacce di Putin alle Repubbliche baltiche ma anche una serie di altri conflitti si stanno innescando e rischiano di concatenarsi l’uno all’altro.
L’elenco purtroppo è lungo. La guerra tra Israele e i palestinesi di Hamas a Gaza, l’Hezbollah libanese, le milizie filo iraniane e il regime siriano. Le mille sfaccettature della situazione siriana dove agiscono i turchi contro le postazioni curde, gli attacchi alle basi Usa da parte delle milizie filo iraniane, lo Stato islamico mai domato, i bombardamenti israeliani. La Somalia la cui instabilità è il terminale di un fronte che si estende fino all’Oceano Indiano dove l’Etiopia rivendica uno spazio al mare a danno proprio della Somalia. La mai risolta querelle tra le formazioni sciite e il governo iracheno da una parte e pakistano dall’altra. Il Mar Rosso crocevia dei commerci internazionali che subisce le ripercussioni del conflitto a Gaza con gli attacchi delle milizie sciite degli Houthi. Il Sudan devastato dalla lotta tra governativi e milizie ribelli. E mille altri focolai di instabilità sparsi per il resto del mondo.
Una domanda aleggia su tutte queste tensioni: quanto siamo distanti da una guerra generalizzata, dal passare cioè dalla Terza guerra mondiale combattuta a pezzi ad un vero e proprio conflitto tra due blocchi? Tucidide, storico e militare ateniese dell’età classica greca ipotizzò lo scoppio della guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta come causato dal timore degli spartani per la crescente egemonia territoriale ateniese. Il politologo statunitense Graham Allison richiama questa teoria definendo “la trappola di Tucidide” il cedere alla paura di perdere il primato e considerare ineluttabile lo scontro. La situazione precisa, secondo Allison, si verifica quando una nuova potenza emergente tenta di sostituire una potenza già consolidatasi come egemone. Al tempo questa teoria si riferiva al conflitto tra Usa e Cina, ma i recenti avvenimenti obbligano a considerare della partita a pieno titolo anche la Russia di Putin.
Come si può o si potrebbe, avendone la volontà politica e storica, disinnescare tutto questo? E’ una domanda alla quale nessuno, fino ad ora, ha dato una risposta esaustiva e applicabile ad ogni situazione. Da sempre le teorie più svariate si sono confrontate sull’argomento. Una delle teorie più utopiche ma anche, in qualche modo, rivoluzionarie è quella del disarmo unilaterale. Il disarmo unilaterale consiste nel cedere, andarsene, dopo di che l’altro cede improvvisamente anche lui. Alcune persone hanno bisogno del conflitto per sopravvivere, se l’altro improvvisamente riconosce loro la superiorità e se ne va, le lasciano sole e quindi finiscono col cedere anche loro. Eugenio Melandri, uno dei teorici e promotori del movimento per il disarmo unilaterale nel suo “Disarmo unilaterale utopia possibile” risponde così agli scettici.
“Ogni cambiamento, se vuole essere vero, ogni rivoluzione, ogni alternativa non possono non partire da un sogno. Paulo Freire racconta che Amilcar Cabral, quando stava combattendo nelle foreste della Guinea, per l’indipendenza del suo paese, spesso si fermava per ore e ore a parlare con i suoi compagni. Un giorno, mentre parlava, chiuse gli occhi e cominciò a immaginare come sarebbe stato il paese quando avesse conquistato l’indipendenza. Non ci sarebbe stata più ingiustizia, fame, miseria. Non ci sarebbero stati ricchi e poveri; tutti avrebbero avuto diritto alla casa, al lavoro, all’istruzione. I governanti non si sarebbero buttati alla conquista del potere, ma avrebbero invece usato del loro mandato per servire la gente… Un compagno lo interrompe: «Amilcar, ma tu stai sognando». E Cabrai di rimando: «È vero, ma se non si è capaci di sognare non si può essere veri rivoluzionari».”
Non è detto che se gli ucraini smettessero di combattere i russi farebbero altrettanto ma la teoria ha comunque una sua logica almeno dal punto di vista filosofico. L’opposto del disarmo unilaterale è la teoria della deterrenza nucleare. L’equivalente in macroeconomia è la teoria del “too big to fail” in italiano “troppo grande per fallire” espressione entrata nell’uso comune e nel linguaggio politico durante la crisi economica globale scoppiata nel 2008 a proposito di Stati, banche, istituti creditizi o aziende considerate troppo grandi all’interno delle rispettive economie perché possano essere privati dell’intervento pubblico in caso di rischio di bancarotta.
Va bene la libera concorrenza ma quando un fallimento (che sia di uno stato o di una azienda multinazionale) rischia di far crollare il sistema, si va in soccorso e si evita il default. Lo stesso sembra accadere nelle crisi internazionali, il pensiero che il prossimo step possa portare all’uso dell’arsenale atomico fa sì che ci si fermi un minuto prima. Ed è proprio ad un minuto dalla tragedia definitiva che è fermo l’Orologio dell’apocalisse, un’iniziativa ideata nel 1947 dagli scienziati della rivista Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago che consiste in un orologio metaforico che misura il pericolo di un’ipotetica fine del mondo a cui l’umanità è sottoposta.
In questa situazione non ci vengono in aiuto nemmeno i classici latini: In medio stat virtus la locuzione latina invita a ricercare l’equilibrio, che si pone sempre tra due estremi, pertanto al di fuori di ogni esagerazione. Ma tra le due teorie (il disarmo unilaterale e la deterrenza nucleare) non c’è la virtù bensì il proliferare di conflitti regionali come stiamo vedendo in questo momento. Significa vivere in una continua instabilità, assistere impotenti a tragedie come quelle di Gaza, rassegnarsi all’impotenza. Non una bella prospettiva.