Il Barcellona è campione d’Europa.Sabato scorso gli uomini di Luis Enrique, allenatore contestato a Roma, hanno centrato a Berlino il loro secondo triplete della storia conquistando, dopo la Liga e la Copa del Rey, la Champions League edizione 2014/2015. La Juventus di Allegri ci ha provato (per la terza volta nella storia ha realizzato il double, cioè l’accoppiata campionato-coppa), ma dopo aver accarezzato l’impresa si è dovuta arrendere alle giocate del trio d’attacco più forte al mondo: Messi, Suárez, Neymar. Dopo quattro minuti era già in svantaggio, ha saputo resistere e al momento giusto, a metà ripresa ha piazzato il colpo del pareggio con lo spagnolo Morata, uno degli attaccanti più forti in Europa, proprio come aveva fatto a Madrid al cospetto di Cristiano Ronaldo. Ma dopo le parate di Buffon, l’errore di Tévez e la caduta in area di Pogba, non c’è stato più niente da fare. Nessuna società di calcio aveva vinto più di una volta in una sola stagione sportiva il prestigioso torneo continentale, insieme al campionato e alla coppa nazionale.
Nessuno potrà mai affermare che questo Barcellona non abbia meritato la vittoria. Ma come ha detto la scorsa settimana Marcello Lippi, solo la Juve in questo momento sarebbe stata in grado di battere il Barça e ci è andata vicino. Con la complicità di un Moreno qualsiasi (arbitro ecuadoriano che fece impazzire Trapattoni ai Mondiali del 2002) o di quei dirigenti che hanno costretto a suo tempo Buffon (fresco campione del mondo) e compagni a ripartire dalla Serie B, sarebbe probabilmente riuscita nell’impresa. Nello scorso articolo avevo profetizzato (ma il pronostico non era impossibile) la vittoria degli spagnoli, venendo in soccorso del tecnico pluridecorato di Viareggio nel ridimensionare la sua affermazione. Ma lui, ovviamente, non ha bisogno di questo. Quello che voleva dire è che con la forza del gruppo, con la qualità dei suoi interpreti, con la personalità dei numerosi fuoriclasse e campioni presenti in squadra, quando “il tutto è più della somma delle parti”, ogni impresa diventa possibile.
Lippi non ha vinto in Toscana agli inizi della sua carriera da allenatore. Non ha vinto con il Cesena, con l’Atalanta, con il Napoli e neanche nella sfortunata stagione dell’Inter 1999-2000. Ma a Napoli ha lavorato bene (1993-94) ed è passato alla Juve, dove ha cominciato a vincere (dal 1994 al 2004, con la parentesi dell’Inter ed una breve pausa di riflessione). Poi la Nazionale italiana di calcio (dal 2004 al 2006 e dal 2008 al 2010) e l’esperienza cinese. Non ha vinto perché senza la qualità tecnica dei giocatori più forti, non puoi vincere. Il Cesena non è la Juve. Ma poi quando arrivi lassù a giocarti il campionato con le squadre più forti, sono i dettagli che fanno la differenza. E i dettagli non sono soltanto quelli tecnici o tattici. Entra in gioco la forza, il carattere, la personalità e la capacità di stare in gruppo di fuoriclasse, campioni e bravi calciatori. Come Cannavaro, Buffon e Pirlo; Nesta, Totti e Del Piero; Grosso, Perrotta e Toni.
Marcello Lippi, Cesare Prandelli, Carlo Ancelotti e Luciano Spalletti, Walter Mazzarri, Roberto Donadoni, Vincenzo Montella sono (in ordine decrescente di età) alcuni dei grandi tecnici italiani liberi al momento, insieme a tanti altri più giovani, bravi ma con poca esperienza. La scuola italiana, quella prodotta dal Settore Tecnico di Coverciano che organizza i corsi secondo i vari livelli, è molto apprezzata all’estero ma forse ora sta diventando un lusso eccessivo proprio per i nostri club, oggi non più all’altezza delle potenze calcistiche ed economiche dell’Europa che conta (le squadre inglesi, il Real Madrid o il Barcellona e tante altre), con l’eccezione proprio della Juventus. In altre parole, quei tecnici sono diventati troppo grandi per il nostro calcio e preferiscono spesso attendere una chiamata più importante all’estero. Costano tanto e vogliono una squadra che risponda alle loro aspettative di prestigio. L’anno sabbatico, una pausa di riflessione per studiare calcio, riprendersi dallo stress e aspettare la giusta panchina, è diventato una moda.