Editoriale

La rivolta ai crimini umanitari non fa più audience. Sono migliaia le università occupate in tutto il mondo, ma nei salotti televisivi è gara al più fatuo

In queste ultime settimane si è fatto sentire con voce forte e chiara il movimento degli studenti universitari di molti Paesi contro l’invasione di Gaza da parte delle truppe di Netanyahu. E negli ultimi giorni si è fatta sentire la voce del potere con una repressione che non si vedeva da anni nelle strade e nelle piazze occidentali. Dopo la violenta irruzione nel campus della Columbia University, le forze dell’ordine in assetto anti-sommossa hanno sgomberato una tendopoli organizzata da manifestanti pro-Palestina nell’ateneo americano di UCLA e arrestato oltre 130 persone. Un agente, secondo quanto riferito dalla Cnn, avrebbe sparato proiettili di gomme senza però provocare feriti. Sono così arrivati a duemila gli arresti nei campus statunitensi per le proteste pro-Gaza. “Tuteliamo le proteste pacifiche, non quelle violente” ha dichiarato il presidente americano, Joe Biden, aggiungendo che “l’antisemitismo non ha posto nelle università.” Di violenze in verità non se ne sono viste se non quelle degli agenti su inermi contestatori. Ma tant’è in qualche modo si doveva pur giustificare quanto accaduto. La protesta, intanto, sta interessando anche gli atenei europei. A Parigi la direzione di Sciences Po ha annunciato la chiusura della sua sede principale a causa di una nuova occupazione. Nell’ateneo di Roma Tre si è invece svolta una “fiaccolata antisionista” per ricordare la morte del rettore dell’università islamica di Gaza. Quello che sconcerta sono i commenti della stampa italiana unanimemente allineata (che novità…) sul tema dell’antisemitismo fino a sottolineare costantemente le presunte infiltrazioni all’interno degli atenei di non meglio identificati agitatori estranei al mondo accademico.

Non si capisce la meraviglia di fronte al fatto che gli studenti siano sensibili a temi come quello della guerra e della repressione di un intero popolo. In Europa gli studenti universitari hanno espresso in molte altre occasioni il loro dissenso verso le politiche dei governi, dalla crisi jugoslava all’invasione dell’Iraq, fino alla infinita guerra in Afghanistan le mobilitazioni non sono mancate. I risultati di queste iniziative sono stati generalmente molti scarsi, poca accoglienza delle tematiche proposte dai movimenti e denigrazione degli stessi con rarissime eccezioni nel mondo della comunicazione. Ben altro risultato il movimento degli studenti ha ottenuto negli USA in passato producendo un impatto significativo sulla fine della guerra in Vietnam. Negli Stati Uniti, il coinvolgimento degli studenti e dei giovani è stato un elemento chiave nel cambiare l’opinione pubblica riguardo alla guerra e nel mettere pressione sul governo per porre fine al coinvolgimento militare nel conflitto. Gli studenti sono stati attivi nel movimento anti-guerra fin dagli anni ’60. Hanno organizzato proteste, marce e sit-in in tutto il paese, esprimendo il loro dissenso nei confronti della guerra in Vietnam. Queste manifestazioni hanno attirato l’attenzione dei media e hanno contribuito a diffondere il messaggio anti-guerra in tutta la nazione. Il movimento studentesco ha anche giocato un ruolo importante nel coinvolgimento politico. Molti studenti hanno partecipato attivamente alle campagne elettorali, sostenendo candidati che promettevano di porre fine alla guerra. Questo ha influenzato l’agenda politica e ha contribuito alla crescita del sostegno pubblico per una rapida conclusione del conflitto. Inoltre, il coinvolgimento degli studenti ha alimentato la resistenza all’interno delle forze armate stesse. Molti giovani soldati hanno iniziato a esprimere il loro dissenso contro la guerra, alcuni rifiutandosi di combattere o disertando. Questi atti di disobbedienza civile hanno messo ulteriormente in discussione la validità della politica USA in Vietnam. In sintesi, il movimento degli studenti ha giocato un ruolo cruciale nel cambiare l’opinione pubblica e nel mettere pressione sul governo degli Stati Uniti per porre fine al conflitto.

Furono, però, molti e alcuni tragici gli eventi che segnarono quell’epoca a cominciare dalla Marcia su Washington per i Diritti Civili e contro la Guerra in Vietnam (1965) che fu una delle prime grandi manifestazioni contro la guerra in Vietnam. Si tenne a Washington, D.C., e vide la partecipazione di migliaia di persone, inclusi molti studenti universitari, che si unirono ai movimenti per i diritti civili per protestare contro la guerra.

Un fenomeno significativo fu anche la resistenza alla leva (draft resistance) che vide molti studenti e giovani adulti opporsi attivamente alla coscrizione militare (draft) per la guerra in Vietnam. Alcuni rifiutarono di arruolarsi, altri bruciarono pubblicamente le loro cartoline per la selezione, e altri ancora si nascosero o fuggirono in Canada per evitare il servizio militare. Nel 1968 gli studenti della Columbia University a New York City occuparono il campus per opposizione alla guerra e altre questioni legate all’amministrazione universitaria. La rivolta portò alla chiusura temporanea dell’università e a violenti scontri tra gli studenti e la polizia. Uno degli eventi più tragici fu la sparatoria alla Kent State nel 1970 quando le truppe della Guardia Nazionale aprirono il fuoco sui manifestanti studenteschi alla Kent State University in Ohio, uccidendo quattro studenti e ferendone molti altri. Questo episodio suscitò un’indignazione diffusa e portò a un aumento delle proteste. Contemporaneamente alle manifestazioni nelle università vennero costituite organizzazioni anti-guerra. Gruppi come la Students for a Democratic Society (SDS) e la Vietnam Veterans Against the War (VVAW) mobilizzarono gli studenti e i veterani per opporsi attivamente al conflitto. Queste organizzazioni giocarono un ruolo importante nell’organizzare proteste e diffondere il messaggio anti-guerra.

Ridurre le manifestazioni attuali nelle università europee e americane a eventi legati a pochi agitatori significa togliere dignità ad una volontà di partecipazione agli eventi in corso da parte di una cospicua parte del corpo studentesco. Se si capisce che al potere avere studenti e studentesse che vogliono essere parte attiva della vita politica del proprio tempo possa dar fastidio si capisce molto meno il motivo per il quale il mondo dell’informazione che ha spesso raccontato con ammirazione gli eventi del movimento degli studenti al tempo del Vietnam non comprendano che qui si sta giocando la stessa battaglia con gli stessi metodi e la stessa repressione. Con l’aggiunta che ciò che sta avvenendo a Gaza rappresenta un segmento del risiko mondiale che può essere il detonatore di qualcosa di più grave di una singola guerra regionale.

 

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«No, signor Netanyahu, non è antisemita o pro-Hamas notare che in poco più di sei mesi il Suo governo estremista ha ucciso 34.000 palestinesi e ne ha feriti più di 78.000, di cui il 70% sono donne e bambini. Non è antisemita o pro-Hamas notare che i Suoi bombardamenti hanno distrutto completamente più di 221.000 residenze a Gaza, lasciando senza casa più di un milione di persone, cioè quasi metà della popolazione. Non usi l’antisemitismo per allontanare l’attenzione dalle accuse criminali a Lei rivolte nei tribunali israeliani. Non è antisemita ritenerLa responsabile delle Sue azioni». Senatore Bernie Sanders

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