Economia

Si scrive WTO si legge: “Mamma, xi jinping mi tocca. Tocchimi xi jinping ca a mamma non c’è”. Non è facile dare un senso a una politica economica che un senso non ce l’ha

Nelle ultime settimane, con l’inizio della “rivoluzione trumpiana” si sono sentite e lette analisi di ogni genere da parte di economisti e specialisti di geopolitica. Senza approfondire troppo il tema dal punto di vista economico, volendo rimanere a un livello della semplice curiosità che può essere quella del famoso “uomo della strada”, sorgono alcuni dubbi e qualche domanda.

Il prossimo 20 aprile prossimo è la data indicata da Donald Trump per fare il bilancio dell’espulsione dei migranti a vario titolo non graditi. Qualcuno ha perfino ipotizzato che questa data sia una sorta di Armageddon con la possibile messa in stato di emergenza dell’intera nazione se questo fosse ritenuto necessario per completare l’opera avviata. Contemporaneamente a questa iniziativa sono stati messi, tolti, sospesi, rimessi e chissà cos’altro i famigerati dazi.

Cercando di mettere ordine alle idee viene da pensare che le due cose siano in contraddizione tra loro. Se è vero che i dazi sono pensati per favorire il rientro della produzione dall’estero all’interno degli USA, ed essendo il tasso di disoccupazione intorno al 4,2 per cento (tanto per fare un paragone il tasso di disoccupazione nell’Unione Europea è stato delll’8,76 per cento, mediamente dal 2000 al 2024, raggiungendo un massimo storico dell’11,70 per cento, nel gennaio del 2013, e un minimo del 5,80 per cento nel novembre del 2024) cosa fa pensare alla dirigenza trumpiana che non ci sarà bisogno, nel caso dovesse andare a buon fine l’operazione rientro della produzione, di nuova manodopera? Ci si potrebbe trovare nella imbarazzante situazione di cacciare centinaia di migliaia di immigrati per poi doverli richiamare di gran corsa per sopperire alla mancanza di manodopera.

Un’altra domanda che ci si può porre riguarda le cause della parziale spoliazione dell’impianto produttivo americano. Donald Trump in questi mesi ha detto che gli Stati Uniti sono stati “fregati” dai loro partner commerciali attraverso il surplus commerciale a loro vantaggio. Ma la liberalizzazione del commercio internazionale con l’ingresso della Cina nel WTO chi l’ha voluta? La storia ci racconta che alla fine degli anni ‘90 gli Stati Uniti fecero un accordo commerciale con la Cina che portò, nel dicembre 2001, a far entrare la Cina ufficialmente nel WTO, cioè l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questa data segna l’inizio ufficiale della globalizzazione. Tranne qualche distinguo di poca importanza nessuna nazione si oppose a questa operazione perché è prevalsa la voglia di conquistare un mercato da un miliardo e mezzo di consumatori.

Ad avviare questa nuova fase delle relazioni commerciali internazionali furono, pertanto, proprio gli Stati Uniti e in particolar modo quelle mega corporation, grandi sponsor oggi di Donald Trump. Anche in Italia nessuno si oppose all’apertura alla Cina. Confindustria era entusiasta di questa che considerava una grande opportunità per il Made in Italy che avrebbe incrementato notevolmente le vendite all’estero. Cosa che peraltro è realmente avvenuta ma a che prezzo? Lo spostamento della produzione in Cina ha depauperato la filiera produttiva italiana a scapito principalmente della classe operaia che ha subito due contraccolpi. Da una parte la perdita di posti di lavoro e dall’altra la contrazione dei salari da parte delle fabbriche che non avevano delocalizzato per contrastare i bassi prezzi delle merci prodotte all’estero.

Il risultato è che la globalizzazione ha fatto nascere una potenza economica seconda (ma fino a quando?) solo agli USA in solo venti anni, perché la Cina, lungi dal farsi colonizzare ha colto l’opportunità di importare tecnologia e di poterla sfruttare per effettuare l’enorme sviluppo tecnologico ed infrastrutturale che è sotto gli occhi di tutti. Adesso che le corporation americane e le aziende europee hanno fatto affari d’oro per oltre 20 anni ed ora che hanno scoperto che la Cina ha delle aziende più potenti delle loro, si cerca di contrastare l’avanzata del colosso cinese con i dazi.

Questo andamento ha fatto impoverire l’americano medio anche a causa dell’iniquo sistema fiscale americano che non consente di drenare risorse dai grandi gruppi finanziari e industriali da destinare a politiche di sostegno alle classi sociali più svantaggiate. Non è nelle corde e nella tradizione degli USA praticare politiche compensative e di welfare, il liberismo prevede che si viva senza rete di protezione come acrobati sospesi nell’aria a fare i salti mortali per arrivare a fine mese, con il sogno di avere magari l’idea geniale per farti diventare il Mark Zuckerberg del terzo millennio. Ma dal sogno americano all’incubo a stelle e strisce il passo può essere assai breve.




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