Editoriale

Quando Marx abitava nei kibbutz

La complessità della crisi tra Israeliani e Palestinesi è tale da coprire, con gli orrori della guerra, elementi storici e culturali che dovrebbero essere sempre presenti per trovare spunti di riflessione che non siano soltanto di tipo strategico/politico. Per esempio, se si tiene conto delle origini del popolo ebraico si rimane sbigottiti di fronte alla brutalità dei propri governi, alla mancanza di equilibrio e di lungimiranza della loro politica.

La maggioranza della popolazione di Israele è formata da ebrei ashkenaziti. Gli ebrei ashkenaziti sono uno dei principali gruppi etnici ebraici. Discendono dalle comunità ebraiche medievali della Renania nella Germania occidentale, in Francia e nell’Europa orientale. Il termine “Ashkenazi” deriva dalla parola ebraica per Germania. Gli ebrei ashkenaziti hanno un patrimonio culturale e religioso unico e hanno dato un contributo in Europa significativo a vari campi come la scienza, la letteratura, la musica e la politica.

Molti famosi studiosi, scrittori, musicisti e scienziati ebrei europei sono di origine ashkenazita. Una consistente comunità ashkenaziti la troviamo, tra l’800 e la prima metà del ‘900 in Russia dalla quale sono emigrati in Israele dopo la seconda guerra mondiale lasciandosi alle spalle un contributo culturale e scientifico di inestimabile valore. Inoltre, Israele è una società multiculturale con immigrati ebrei provenienti da vari paesi, tra cui Etiopia, India, Yemen e altri, ognuno con le proprie tradizioni e costumi unici.

Questa diversità si aggiunge al ricco arazzo della società israeliana. Di estremo interesse è l’esperienza dei kibbutz. Questi sono insediamenti comunitari unici che hanno avuto origine in Israele all’inizio del XX° secolo. Il termine “kibbutz” (plurale: kibbutzim) significa “raccolta” o “collettivo” in ebraico. I kibbutz sono comunità intenzionali in cui i residenti vivono e lavorano insieme, condividendo tutte le proprietà, risorse e responsabilità. La ricchezza e le risorse del kibbutz sono condivise equamente tra i suoi membri. Ognuno riceve ciò di cui ha bisogno per la vita quotidiana, indipendentemente dalla professione o dal contributo alla comunità.

Ricordate Marx “Ognuno secondo le proprie capacità ad ognuno secondo i propri bisogni”? La domanda è forse ingenua. Dove è finito tutto ciò? Dove è finita l’immensa cultura, il patrimonio di umanità, di condivisione, lo spirito comunitario, l’esperienza realizzata più compiuta del socialismo? E non si dovrebbe, forse, ripartire proprio da qui, da questo tesoro nascosto, dimenticato, rinnegato? E non dovrebbe farlo proprio la società e la politica israeliana? Qualcosa si sta muovendo anche dentro lo stato ebraico.

La scommessa fatta anni fa da Benjamin Netanyahu di puntare più sull’estremismo di Hamas non impedendo (se non facilitandone) la crescita a scapito della più laica anche se corrotta dirigenza della Cisgiordania (sarebbe stato più difficile far accettare al proprio elettorato che una pace con i palestinesi non sarebbe mai stata possibile avendo come controparte il moderato Abu Mazen che l’estremista Ahmad Yasin) sta portando i suoi frutti avvelenati. Se ne stanno accorgendo ministri del suo governo che stanno lasciando il governo e una parte dell’esercito. Manca ancora la spallata della piazza ma arriverà, quando sarà risolta la questione degli ostaggi, neanche le ragioni umanitarie fermeranno il giudizio del popolo e della storia su questa indegna classe dirigente.

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