Diritti

Sangue del mio sangue

La morte di Antonio Megalizzi nell’attentato di Strasburgo è sicuramente una brutta notizia anzi pessima. Ma questo episodio ci lascia anche una riflessione positiva. Ragazzi, giornalisti come Antonio Megalizzi ci sono e sono anche tanti. Sono i figli di Erasmus, quei ragazzi e quelle ragazze che si sono aperti/e al mondo, che hanno sperimentato cosa può essere una società globale, integrata e solidale e che da li non tornano più indietro. Antonio ha voluto estendere la sua esperienza fino a farne un impegno civile oltre che una prospettiva lavorativa. La radio per la quale lavorava è una di quelle realtà che, come più modestamente la nostra testata giornalistica, vuole dare voce e visibilità a tutti quei progetti che in Europa si stanno continuando a portare avanti nonostante le nefaste previsioni elettorali che vorrebbero (ma staremo a vedere se sarà così) gli antieuropeisti, i nazionalisti o come li si vuol definire adesso “sovranisti” prevalere largamente alla prossima tornata elettorale di Maggio 2019. L’iniziativa del Rettore dell’Università di Trento Paolo Collini di creare una “Radio Europea”, un network di università italiane che partecipi al progetto al quale lavorava Antonio vuole prendere il testimone e continuare la sua corsa. Sull’attentato si possono dire molte cose compreso il dubbio che possa essere stato un gesto ad orologeria. Troppe volte abbiamo visto coincidenze strane negli atti terroristici e certamente una strana coincidenza è un attentato che viene compiuto proprio nel momento di massima pressione dei cosiddetti “gilets jaunes” sul governo francese e sul presidente Macron. Se Cherif Chekatt ha agito davvero da solo ha fatto un grande regalo all’establishment francese. Antonio e Cherif erano coetanei, entrambi nati in Europa, avrebbero dovuto avere ideali, sogni e prospettive identici. Invece la storia li ha messi uno contro l’altro, il ragazzo francese “radicalizzato” contro il ragazzo italiano idealista. In tutta questa vicenda c’è stato un altro episodio, il tragitto effettuato da Cherif Chekatt in taxi e il dialogo, immaginiamo surreale, con il tassista. Quest’ultimo si salva perché alle domande del terrorista sulla religione islamica risponde correttamente, da prova di essere un buon musulmano, devoto e praticante. Curiosa nemesi “moderna” dove la vita è legata alla giusta risposta a qualche domanda, un tragico quiz, quasi fosse uno dei tanti show televisivi proposti sulle reti tv di tutto il mondo. Il tassista vince, Antonio perde. Eppure loro sono due facce della stessa medaglia. Ognuno di loro viveva la vita di cittadino del mondo in una terra diversa da quella di origine così come Cherif che però non ha voluto/saputo/potuto apprezzarne l’aspetto positivo e ha creduto di dover combattere una inesistente guerra di civiltà. Di tutto questo resta la testimonianza di Antonio che va raccolta e coltivata, fatta crescere fino a diventare buna pratica nelle relazioni politiche e sociali di questo continente.

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