Editoriale

Se pensate che la cultura costi provate con l’ignoranza

Delle tante emergenze immaginarie propinateci dai nostri indefessi governanti, ce ne sono due sicuramente reali e drammatiche: il global worming (riscaldamento globale) e la povertà in un numero elevatissimo di Paesi del mondo.

Del problema climatico si parla molto e si fa poco. Ciò nonostante, anche a causa delle iniziative recentemente messe in campo da attivisti che si ispirano alla ormai famosissima Greta Thunberg, il problema è all’attenzione per lo meno dell’opinione pubblica sperando che entri pienamente nelle agende politiche dei governi degli stati inquinatori.

Della povertà nel mondo, delle diseguaglianze tra diverse aree geografiche, invece, non se ne parla abbastanza e, in alcuni casi, questo argomento sta scomparendo dall’attenzione dei governi occidentali. E questo è un vero e proprio paradosso dato che questi stessi Paesi cominciano a subire gli effetti negativi di questa situazione.

A fronte del tanto acclamato “aiutiamoli a casa loro” nel 2018 secondo l’OCSE si registra un calo negli aiuti del 2,7%. A farne le spese sono i Paesi più poveri del pianeta. Con l’avvento del governo sovranista composto da due partiti che in campagna elettorale hanno fatto, per l’appunto,dello slogan “aiutiamoli a casa loro” un vero e proprio mantra ci si sarebbe aspettato un aumento destinato agli aiuti internazionali invece l’Italia è maglia nera sui 30 paesi OCSE con una diminuzione, addirittura, del 21% di risorse stanziate.

Lo scorso anno i Paesi ricchi hanno destinato in media solo lo 0,31% del proprio reddito nazionale lordo agli aiuti allo sviluppo, ossia quanto stanziato già nel 2017, ma ben al di sotto dell’obiettivo dello 0,7% fissato ormai 50 anni fa quando era già evidente che solo attraverso una politica di riallineamento delle risorse e una più equa distribuzione della ricchezza si sarebbe potuto stabilizzare la situazione a livello globale, livello raggiunto da oggi solo da Svezia, Norvegia, Regno Unito, Lussemburgo e Danimarca.

La cooperazione internazionale è materia molto complessa basti pensare a quante risorse inviate a Paesi in via di sviluppo sono state distratte da politici locali corrotti e disonesti. Al di la della buona volontà degli enti pubblici e privati molto spesso le iniziative umanitarie producono effetti nulli se non negativi. Ciò nonostante è indubbio che la stabilizzazione di intere aree geografiche passi attraverso interventi di riequilibrio economico e di aiuto allo sviluppo di Paesi economicamente depressi.

La dimensione della discrepanza tra ciò che sarebbe necessario fare e ciò che in effetti viene fatto ce lo danno le parole di Francesco Petrelli, senior advisor su finanza per lo sviluppo di Oxfam Italia: “L’aiuto allo sviluppo proveniente dai paesi ricchi è solo di poco superiore alle fortune di Jeff Bezos, l’uomo più facoltoso del mondo. Un dato semplice che descrive quanto l’attuale sistema economico funzioni bene solo per l’1% e male per il restante 99%. Il drastico calo degli aiuti ai più poveri e vulnerabili è desolante, perché in fondo non si sta facendo altro che voltare le spalle a chi lotta per la sopravvivenza”.

Proprio l’Oxfam (confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo) indica in un nuovo rapporto una sorta di rodmap per rendere l’aiuto allo sviluppo una leva certa di contrasto alle crescenti disuguaglianze e dunque alla povertà estrema proprio per evitare gli sprechi di cui sopra.

Il report “L’aiuto allo sviluppo ai tempi della disuguaglianza” lancia un allarme sulla qualità degli interventi (oltre ovviamente all’esiguità degli stessi) ed evidenzia come la povertà potrà essere combattuta solo attraverso interventi che abbiano al centro strumenti concreti di riduzione delle disuguaglianze nei Paesi in via di sviluppo.

Queste sono le indicazioni evidenziate nel report:

· stabilire, in base a quanto indica la Banca Mondiale, alle cooperazioni bilaterali di tutti i paesi donatori di fissare due obiettivi giuridicamente vincolanti, per valutare l’efficacia dell’aiuto attraverso la riduzione di (a) disuguaglianza e (b) povertà. Misurando l’impatto che essi hanno avuto nel ridurre il gap tra i redditi del 10% più ricco della popolazione e il 40% più povero;

· cessare di utilizzare gli aiuti per finanziare partenariati pubblico-privati soprattutto in settori che forniscono servizi essenziali come sanità e istruzione. Un modus operandi che in Paesi a basso reddito non fa che portare a processi di privatizzazione che producono l’esclusione delle fasce più povere e vulnerabili della popolazione, esposte ad un aumento esponenziale dei costi per l’accesso ai servizi. Va invece favorito un aumento di aiuti pubblici destinati a sanità e istruzione, che soprattutto nei paesi poveri sono cruciali per la riduzione delle disuguaglianze.

· lo stanziamento di aiuti in grado di mobilitare nuove risorse, attraverso il rafforzamento di sistemi fiscali progressivi, in grado di svolgere una doppia funzione: ridistribuire la ricchezza e dare impulso alla spesa per servizi pubblici in grado di ridurre le disuguaglianze. Oxfam ha calcolato che se i Paesi in via di sviluppo realizzassero entro il 2020 un aumento delle entrate fiscali interne di un solo 2%, i loro bilanci beneficerebbero di un aumento di 144 miliardi di dollari in più all’anno, una cifra molto vicina l’intero ammontare dell’aiuto mondiale (153 miliardi di dollari);

· aumentare gli aiuti destinati a combattere la disuguaglianza di genere. Nel 2015-16, secondo un’analisi dei programmi realizzata dall’OCSE, nonostante i progressi dei donatori, solo il 4% aveva l’eguaglianza di genere come obiettivo principale, il 33% come obiettivo secondario e il restante 63% non la menzionava affatto. Si tratta di un ritardo molto grave, basti pensare che da oggi al 2025, se tutte le donne avessero pari opportunità lavorative, l’economia mondiale crescerebbe di 28.000 mila miliardi di dollari;

· smettere di utilizzare gli aiuti per sostenere strategie commerciali e politiche interne, sottraendo di fatto risorse essenziali per la lotta alla povertà nei paesi in via di sviluppo. Ad esempio con il ricorso all’utilizzo dei budget per gli aiuti, per sostenere l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati all’interno dei propri confini.

Non proprio un impegno di poco conto. Ma volendo parafrasare un motto di un anonimo dell’800 “se pensate che la cultura costi provate con l’ignoranza” possiamo dire che se pensiamo che questo sia troppo oneroso, dobbiamo tener conto di quanto costa contrastare l’impatto della diseguaglianza e della povertà.

 

 

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