Diritti

Torna in prigione

C’è qualcosa che non va se da una parte abbiamo sempre più persone che pensano che il problema principale dell’Italia sia la mancanza della certezza della pena, che c’è bisogno di prevedere il carcere per un numero sempre più numeroso di reati e dall’altra abbiamo una situazione del sistema carcerario al collasso.

Tra i tanti record negativi il nostro Paese è anche tra i peggiori in Europa per condizioni delle carceri. E’ il secondo per tasso di affollamento dopo Cipro e prima di Ungheria e Turchia ed è il settimo per numero di detenuti in proporzione alla popolazione.

Nulla a che vedere con gli Usa dove ci sono più di 2.250.000 persone in prigione, tra queste 100mila detenuti sono in isolamento, 128mila sono ergastolani, 100mila i minorenni in riformatorio e 15mila nelle prigioni per adulti. Statistiche alla mano si parla di 726 galeotti ogni 100mila abitanti, uno ogni 138 americani; è il record mondiale d’imprigionamento.

A fronte di questo primato non certo esaltante gli Usa sono tra i Paesi a più alta criminalità al mondo. Nelle celle italiane sono rinchiuse 60mila persone, 10mila in più di quelle che possono contenere con un tasso di affollamento del 120 per cento. Non a caso un altro record europeo lo deteniamo per numero di suicidi in carcere dal 2000 a oggi si sono tolti la vita 1.065 carcerati.

In tutta Europa le perone prive di libertà per azioni legali sono in aumento. In Francia nel 2000 erano 48mila, oggi sono 74mila, nel Regno Unito si è passati da 64mila a 82mila. In Italia si è passati da 53mila a 60mila, ma c’è da dire che nel 1990 erano poco più di 30mila. Tutt’altro che mancanza di certezza della pena. Tutto questo, peraltro, è avvenuto nonostante i reati nello stesso periodo siano diminuiti.

Ci si chiede allora se sia ragionevole continuare a credere che il sistema carcerario sia funzionale al controllo della criminalità. Quando si parla di reati va considerato l’insieme del fenomeno. Combattere il traffico della droga per esempio ha rappresentato, negli ultimi decenni, la repressione in massima parte dei consumatori, cioè delle prime vittime del sistema.

Se andiamo ad analizzare la composizione della popolazione carceraria ci accorgiamo che il numero di tossicodipendenti reclusi per piccoli o grandi reati legati direttamente o indirettamente all’uso di sostanze stupefacenti (compreso lo spaccio) è molto elevato a fronte di un esiguo numero di grandi trafficanti legati alle organizzazioni criminali di dimensione internazionale.

Verrebbe da pensare che si stia penalizzando il reato marginale nell’impossibilità o, peggio, nella non volontà di attaccare il fenomeno nel suo complesso. Traslate questo metodo di analisi ad altri fenomeni (terrorismo internazionale, flussi migratori ecc) ed avrete il quadro del problema.

Se allarghiamo ancora di più l’angolo di visuale ci accorgiamo che L’Italia è tra i Paesi in cui si tengono meno persone dietro le sbarre per reati finanziari. Solo 228 detenuti, lo 0,6% della popolazione carceraria, sono stati condannati con sentenza definitiva per reati che vanno dal riciclaggio all’insider trading al falso in bilancio, oltre a corruzione e reati contro la pubblica amministrazione. Leggendo questi dati è evidente che ci troviamo di fronte ad un problema che investe il concetto di giustizia nel suo complesso.

Di questi problemi si sono occupati negli anni molti intellettuali da Filippo Turati a Altiero Spinelli, da Luigi Manconi a Adriano Sofri, tutti hanno ragionato intorno al problema della pena in relazione alla repressione dei reati e, dati alla mano, sono tutti, in epoche e condizioni diverse, arrivato alla medesima conclusione. Non è la detenzione carceraria la risposta più coerente con la necessità di sicurezza.

Basta pensare ad un solo dato. La recidiva dei reati nella popolazione carceraria sottoposta a regime di sola detenzione è del 68%, questa percentuale scende al 19% tra i detenuti che sono stati avviati a pene alternative o a regime di semi libertà con coinvolgimento del detenuto in attività di formazione o lavorative. Una delle proposte più sensate è quella di trasferire le risorse economiche e umane dal sistema carcerario al sistema dell’affidamento ai servizi sociali.

I fondi destinati all’amministrazione penitenziaria si mantengono anche nel 2019 intorno ai 2,9 miliardi di euro come negli ultimi anni. Il costo per detenuto passa, per contro, dai 137 euro del 2018 ai 131 di oggi in conseguenza del graduale aumento dei detenuti. I fondi vengono spesi principalmente nell’edilizia penitenziaria, che comprende sia la realizzazione di nuove infrastrutture che il potenziamento e la ristrutturazione di quelle esistenti. Per il personale invece viene speso il 76 per cento del budget totale. Quanto di meglio si potrebbe fare se queste risorse fossero destinate a programmi di recupero e reinserimento nella società dei rei?

Una revisione delle pene con relativa depenalizzazione di molti reati minori, migliori condizioni carcerarie per i rimanenti detenuti e maggiori risorse a progetti di reinserimento sociale sarebbero indispensabili per riequilibrare il sistema. Va tenuto conto, inoltre, che i grandi filoni criminali (droga, terrorismo, crimini finanziari ecc) si combattono con altri sistemi che non la carcerazione, servono servizi segreti efficaci, reti informatiche che esplorino il mondo delle banche (come si dice negli ambienti giornalistici americani: “follow the money”), ampia collaborazione tra Paesi data l’ormai internazionalizzazione delle reti criminali.

Volete sapere se proposte come queste verranno mai approvate e messe in atto? Per scoprirlo fatevi la seguente domanda: Quanti voti prenderebbe un partito che facesse una proposta del genere?

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