Questa è la storia di Tayyaba, nome di fantasia che usiamo per indicare una signora afgana che ha lavorato al ministero per gli Affari femminili fino al 15 agosto 2021. Coraggiosamente, con il ritorno dei talebani, ha subito aderito al primo gruppo di protesta di donne scese in piazza al grido “pane, lavoro, libertà”.
I talebani l’hanno subito identificata e imprigionata. Ecco quel che ha dovuto affrontare in carcere.
L’attivista per i diritti delle donne ha trascorso trentasei ore in isolamento ed è stata rilasciata su cauzione con la mediazione degli anziani locali. In questo breve lasso di tempo, è stato sottoposta a torture sia fisiche che mentali durante gli interrogatori da parte dei talebani che le urlavano: “Hanno detto che sei una prostituta, dimmi subito, per chi lavori?” Chi sei, spia?”
La mattina di sabato, 12 agosto 2023, in occasione della settimana della solidarietà e del secondo anniversario della caduta di Kabul nelle mani dei talebani, Tayyaba e le sue amiche sarebbero dovute scendere in piazza per protestare contro le nuove disposizioni “anti-donne”, ma mentre si preparava, coordinandosi con i suoi amici, viene a sapere che la sua casa era stata circondata dai talebani.
Tayyaba ha così raccontato quei momenti: “Venti persone circa, uomini armati fino ai denti come se stessero cercando un pericoloso assassino, sono entrate nella villa dicendoci di non farci prendere dal panico, hanno controllato i telefoni, perquisito la casa e poi mi hanno bendata e costretta a salire sul Ranger.”
La giovane ha poi detto di essere stata trasferita direttamente da casa sua al “Dipartimento di intelligence di Kabul” dove, secondo le donne arrestate, i soldati talebani insultano le manifestanti senza spiegare di cosa vengono accusate.
In tanti l’hanno interrogata a turno con toni pesanti e usando violenza fisica: Ognuno di loro le ha fatto la stessa domanda: “Con chi lavori? Da chi prendi i soldi e quanti soldi hai avuto per coordinare questa marcia?”
Quasi tutte le donne rilasciate dalla prigione talebana confermano torture, maltrattamenti e violazione della loro privacy da parte subite dai talebani. E, purtroppo, ad alcune di loro è andata anche peggio.
Lo stupro in prigione. Un orribile film a cui nessuno vorrebbe assistere. Non è facile, infatti, restare calmi a veder scorrere le immagini impresse su una videocassetta venuta in possesso del quotidiano Guardian e dell’agenzia Rakhshaneh Media. I talebani hanno filmato la violenza minacciando la vittima di renderla pubblica. In quel video si vede chiaramente picchiare una donna selvaggiamente per poi sottoporla a ogni sorta di umiliazione possibile.
Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani, ha sempre negato le accuse di diffuse violenze sessuali contro le donne nelle carceri del gruppo, e non ammette neanche i maltrattamenti.
A smentirlo c’è però Heather Barr, vice del dipartimento per i diritti delle donne di Human Rights Watch, che denuncia come i talebani continuano ad agire in completa immunità, soprattutto dietro le mura della prigione.
A Tayyaba è stato mostrato un elenco con i nomi di tutte le ragazze che protestavano nell’ufficio dell’intelligence talebana e le è stato chiesto di chiamare tutti i numeri sull’elenco e di interrompere immediatamente la manifestazione. La donna ha riferito che i talebani l’hanno minacciata dicendole che se non lo avesse fatto, le avrebbero riservato un trattamento speciale.
Minacce di morte, insulti e violenza fisica sono tra i metodi più comuni di interrogatorio negli uffici della polizia talebana. “Mi hanno colpita in faccia con il calcio di una pistola e, quando stavano per rilasciarmi, hanno minacciato di uccidermi se avessi protestato di nuovo”, racconta Tayyaba.
A suo dire: “I talebani sfruttano i punti deboli delle detenute per obbligarle al silenzio e non raccontino cosa è successo loro in prigione”.
Smettetela di parlar male dei talebani, altrimenti loro (i talebani) sapranno come trarre vantaggio da questa debolezza.
Per mantenere i prigionieri sotto il loro controllo anche dopo il rilascio, i talebani registrano le violenze. Come detto, in diversi casi già documentati, i talebani filmano le detenute mentre vengono abusate per poi far scattare la peggiore delle loro minacce: se avessero detto qualcosa contro i Talebani avrebbero pubblicato il video esponendo le donne a ripercussioni intollerabili nella società tradizionale dell’Afghanistan.
Nel foglio di garanzia che il dipartimento di intelligence talebano ha dato a Tayyaba c’è scritto che, dopo il suo rilascio, non dovrebbe uscire di casa per nessun motivo. Nel documento consegnato alla donna si chiarisce che in caso di necessità medica urgente, il mullah della moschea avrebbe informato i talebani e loro, solo loro avrebbero potuto, eventualmente, accompagnarla dal medico.
I talebani hanno minacciato Tayyaba che, se non avesse rispettato questo impegno obbligatorio, avrebbero imprigionato anche i suoi cari che le facevano da garanti.
Mettetevi pure comodi se potete, perché, ahinoi, la storia non finisce qui. Sono passati solo venti minuti dal suo arrivo a casa quando le forze di sicurezza talebane giungono presso la sua abitazione. Tayyaba riferisce di uomini armati arrivati, ancora una volta, dalla “zona di sicurezza” che prendono con rabbia a calci il cancello: “Appena ho aperto hanno urlato ‘avete rovinato il nostro nome. L’intelligence ha riferito che una donna del tuo distretto ha protestato…’. Non so se sono stata più ferita dai talebani o dalla gente del posto. Mi hanno picchiato davanti alla mia famiglia, dentro casa. I vicini si limitavano a guardare dalle finestre. Nessuno ha osato filmare quel crimine affinché, magari, anni dopo il mondo potesse vedere come questi vigliacchi trattano le donne.”
Le persecuzioni dei talebani in casa di Tayyaba sono durate intere settimane finché non si ripete la stessa scena di sempre: “Non appena ho aperto il cancello e ho chiesto cosa stesse succedendo, uno di loro mi ha puntato l’arma alla gola. Mi accusa di aver riunito, ancora una volta, dieci persone in casa, volete protestare? Ho detto di no e avrei voluto dimostrare la mia innocenza quando la punta della sua arma mi incide la gola. Il taglio era tale che avendo bisogno di punti di sutura mi hanno trascinata via con la testa e il viso coperti di sangue.”
Tayyaba non ha voluto fornire ulteriori dettagli riguardo al secondo arresto, ma ha chiarito che questa volta i talebani gli hanno fatto promettere di non parlare mai e in nessun luogo di questo incidente.
Tayyaba è stata costretta a lasciare la sua casa e i suoi cari. L’anno scorso si è rifugiata in Pakistan a causa delle ferite riportate durante i suoi due anni di vita all’ombra dei talebani.
Casi di tortura delle donne nelle carceri talebane sono stati documentati dai media in esilio, dagli osservatori dei diritti umani e dalle agenzie internazionali, compresi gli uffici delle Nazioni Unite in Afghanistan, e tutti questi documenti mostrano che i talebani non risparmiano alcuna crudeltà nei confronti dei prigionieri, in particolare delle donne detenute.
L’agenzia indipendente di donne Rakhshaneh ha spesso documentato in collaborazione con altri media internazionali l’esperienza delle donne che protestavano nelle carceri talebane. Oggi ci uniamo a loro con la storia “Amara e da incubo” di Tayyaba: trentasei ore in prigione con i talebani.
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