Editoriale

Vi è mai capitato di cucinare un pollo di sei chili?

988504_563548383696068_896779152_nSe sì, sarete dolorosamente consapevoli che solo per maneggiarlo sarebbe necessaria una laurea in fisioterapia. E un fisioterapista in carne e ossa subito dopo, per massaggiarvi le doloranti membra. La storia inizia quando una cara amica di famiglia riceve in dono un pollo di Bresse delle dimensioni di una tacchinella o di un cappone (e in realtà cappone era: di Bresse, ma cappone), e prosegue con l’incauto (io) che si offre di cucinarlo per un pranzo di fine estate.
Dunque: il pollo di Bresse (o poulet de Bresse, se volete tirarvela un po’), si diceva. “E lon ca l’è, Nini?” –dice Mamma Elda dalla Cucina dei Piani Superiori, dove ormai ha preso il posto dell’Arcangelo Capo). È effettivamente un capolavoro dell’avicoltura francese, originario della Bresse, una zona di quella benedetta e meravigliosa regione che è la Borgogna (un’altra volta magari parleremo di oeufs en morette o di rane in persillade). Naturalmente i cugini vi diranno che è il migliore del mondo. Non lo so: certo è che se la batte bene: ruspante, saporito, tenero ma sodo.
Quando mi sono trovato davanti l’oggetto delle mie attenzioni e dopo aver a lungo maledetto la mia avventata proposta di cucinarlo, ho deciso di fare la cosa più semplice: arrostirlo in forno. Perché? Perché il pollo arrosto è uno dei piatti migliori e meno considerati in Italia, mentre ad esempio in Francia lo potete trovare nei menù dei ristoranti più up to date (tanto per tirarmela un po’ io) e non solo in quelli delle mense aziendali. E poi anche perché la soddisfazione di portare in tavola, intero, un volatile di siffatte dimensioni era irresistibile.
Ma, ripeto, faccenda faticosa.
Allora: ho lasciato il pollo in salamoia per una notte. Ho adoperato due cucchiai di sale grosso per litro d’acqua e ho aggiunto dello zucchero di canna, in minore proporzione, e abbondante succo di limone. Lo zucchero in ambiente acido favorisce la reazione di Mallard, quella che permette la caramellizzazione delle carni, creando quella meravigliosa crosticina bruna e saporita. Ho messo il tutto in frigorifero. L’indomani ho sciacquato e asciugato molto bene il pollo e l’ho imbottito di aglio, salvia e rosmarino. Ho unto tutta la pelle di burro (ma non ditelo al vostro medico di fiducia), ho irrorato di vino bianco (che, oltre a rilasciare il suo aroma, faciliterà, grazie alla sua acidità, la caramellizzazione) e ho infornato a 220°, con il petto in basso. Cuocerlo inizialmente così permette una minore cottura del petto, evitando che rimanga stopposo. I tempi? Il sito ufficiale del pollo di Bresse parla di 45 minuti per chilo: quindi, in tutto quattro ore e mezzo. Ma non fidatevi troppo: in realtà, dopo tre ore circa, la temperatura al cuore della coscia era già di 75 gradi, caratteristica della cottura ultimata (mai senza un termometro da cucina: costa pochi euro e vi evita sgradevoli sorprese). Durante la cottura dovrete bagnarlo col fondo e a un certo punto girarlo a petto in su (e provate a farlo con sei chili di pollo rovente). In teoria il pollo dovrebbe cuocere a petto in su per una volta e mezza il tempo trascorso a petto in giù. In un paio di occasioni ho anche ripassato la pelle con del burro, in modo da migliorarne la croccantezza (San Colesterolo, aiutaci tu).
Il risultato? Quello della fotografia. La carne era eccellente, bianco il petto e non stopposo, e rosata, quasi rossa, quella del resto, segno dell’allevamento a terra. La pelle, croccante (sempre pensato che dovrebbero esistere polli fatti di sola pelle). E quando lo farete, se vi avanza, ricordate che sarà ottimo anche freddo o per preparare un’insalata con una vinaigrette ben senapata.
Un’ultima cosa: cucinare un pollo di queste dimensioni con l’aiuto di qualcuno sarà molto vantaggioso per la vostra salute, soprattutto quando dovete girarlo. Altrimenti, potete sempre montare una carrucola sul soffitto della vostra cucina.

Alessandro Defilippi

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