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Medioriente, genocidio in corso: è il fallimento dell’umanità

Il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ha chiesto alla Corte penale internazionale (CPI) di agire per ritenere Israele responsabile dei crimini che sta commettendo contro i palestinesi a Gaza. Ha affermato che “nella Palestina sotto occupazione, tutti gli standard e i valori umani, morali, religiosi e legali sono crollati a causa dei brutali massacri compiuti dalle forze di occupazione contro il popolo palestinese”. Ma non è l’unico a lanciare un grido di dolore per quel che sta accadendo nella Strisci di Gaza.

Migliaia di civili palestinesi, un flusso lungo chilometri, donne con in braccio i figli, anziani a passo lento, uomini stremati dalla fatica e dalla sete stanno abbandonando il nord di Gaza ridotto in macerie, senza più neppure le panetterie. Un esodo che ha riportato alla memoria di tanti le scene della Nakba nel 1948 e volto a raggiungere il sud della Striscia, alla ricerca della salvezza che nessuno potrà mai garantire a questa gente sino a quando continueranno i bombardamenti aerei israeliani. I nuovi arrivati a sud hanno trovato poco o nulla per rifocillarsi. Manca tutto e serve tutto. Si sono avviati alle mense all’aperto delle associazioni di carità sperando di poter mangiare qualcosa. Foto che hanno fatto il giro del mondo mostravano ieri bambini palestinesi con ciotole in mano in attesa di un pugno di riso e un po’ di pane.

Terminate le poche ore in cui i comandi israeliani permettono di percorrere il «corridoio sicuro» sulla superstrada Salah Edin, il flusso di sfollati dal nord si è subito interrotto. Gli oltre due milioni di palestinesi si sono rifugiati in ogni luogo possibile, per sottrarsi al buio totale della notte di Gaza illuminata dai bagliori delle esplosioni delle bombe che portano la morte. Raid aerei che potrebbero fermarsi ma solo per poche ore, al massimo un paio di giorni. Non una tregua. Non la vuole Israele e neppure l’Amministrazione Biden, come ha ribadito il Segretario di Stato Blinken. Solo una «pausa umanitaria» di 24-48 ore per permettere la distribuzione di aiuti alla popolazione in cambio della liberazione di una dozzina dei 241 ostaggi israeliani e stranieri nelle mani di Hamas e di altre organizzazioni. Sarebbe questa l’intesa che Qatar ed Egitto, con il sostegno dell’Amministrazione Biden, avrebbero raggiunto con il movimento islamico. Ieri sera, sempre secondo queste indiscrezioni, si attendeva la risposta di Israele che potrebbe accettare, anche per le pressioni dell’Amministrazione Biden che vuole riportare a casa gli americani prigionieri a Gaza. Ci sono anche voci di trattative per calmare il confine tra Libano e Israele dove ieri l’esercito israeliano e i combattenti di Hezbollah si sono scambiati razzi anticarro e cannonate.

“Israele bombarda i civili con la scusa di colpire i combattenti di Hamas che si nasconderebbero in ospedali e ambulanze, o nei tunnel sottoterra. Ma non si può fare. Inoltre dovrebbe dimostrare queste accuse, prima di bombardare. Sono anni che vado nella Striscia di Gaza, di tunnel non so nulla, ma so con certezza che prima di ogni altra cosa su quella terra sono state costruite case, moschee, chiese, scuole e ospedali. La comunità internazionale non può lasciare semaforo verde a Israele, permettendo a un ministro di chiamare i civili ‘animali’ per giustificare i raid”. Giuditta Brattini è volontaria di Gazzella Onlus, organizzazione che con l’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi) e Assopace Palestina ha promosso una conferenza stampa alla Camera dei Deputati con gli operatori rientrati dalla Striscia, dopo che l’offensiva di Hamas del 7 ottobre ha innecato una campagna militare di Israele contro l’enclave palestinese, sede di 2,3 milioni di abitanti. “A Gaza è un disastro, manca tutto” continua la volontaria, in riferimento agli effetti del blocco totale imposto da Israele. “I medici- dice Brattini- ci raccontano che sono costretti a eseguire molte amputazioni perché non hanno più materiali e farmaci per eseguire quel tipo di interventi chirurgici con cui potrebbero salvare gli arti”.

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