La Global Sumud Flotilla, composta da decine di imbarcazioni civili e centinaia di attivisti da 44 paesi, rappresenta uno degli sforzi più ambiziosi della società civile internazionale per rompere il blocco navale israeliano su Gaza e portare aiuti umanitari alla popolazione stremata. Tuttavia, dietro al nobile ideale umanitario si nascondono significativi rischi per i partecipanti e un deficit di organizzazione che sta minacciando il successo della missione.
Questi episodi dimostrano la vulnerabilità delle navi civili anche in acque internazionali e l’alto livello di rischio per i partecipanti a causa della posizione estremamente dura assunta dal governo israeliano verso gli attivisti. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha presentato un piano che prevede non solo il sequestro delle imbarcazioni, ma anche l’arresto degli attivisti che verrebbero trattenuti in detenzione prolungata nelle prigioni di Ketziot e Damon, normalmente riservate a quelli che Israele considera terroristi. Agli attivisti sarebbero negati TV, radio e cibo specifico, in linea con la dichiarazione di Ben-Gvir: “Non permetteremo a chi sostiene il terrorismo di vivere nell’agiatezza”.
Una volta avvicinatesi a Gaza, le imbarcazioni dovrebbero affrontare il blocco navale israeliano in un’area dove la marina israeliana ha il diritto internazionale di respingere i natanti che penetrano nelle proprie acque territoriali. Il precedente della Mavi Marmara del 2010, quando nove attivisti furono uccisi durante un’operazione delle forze speciali israeliane, rappresenta un cupo monito sulle potenziali conseguenze.
La missione ha subito numerosi ritardi e inconvenienti logistici. La partenza inizialmente prevista per il 4 settembre è stata posticipata a causa delle condizioni meteorologiche avverse e di problemi tecnici. In Tunisia, le imbarcazioni sono rimaste bloccate per giorni nel porto di Biserta a causa di lentezze burocratiche (la polizia di frontiera tunisina voleva fotografare e prendere le impronte di ogni partecipante) e della carenza di carburante.
La pressione dell’attesa ha generato tensioni negli equipaggi, con alcuni partecipanti che hanno deciso di abbandonare. Notevoli sono state le fratture nell’eterogeneo comitato organizzatore. Greta Thunberg è uscita dal comitato direttivo della Sumud Flotilla, scegliendo di continuare a contribuire come partecipante attiva e organizzatrice sul campo, piuttosto che come membro del team di coordinamento. Lo segnala il Manifesto, citando una dichiarazione dell’attivista: “Tutti abbiamo un ruolo: il mio non sarà nel comitato direttivo, ma come organizzatrice e partecipante”.
Sul sito ufficiale della missione, il suo nome risulta infatti cancellato dalla lista dei membri del direttivo. Le divergenze sarebbero legate a una comunicazione troppo incentrata sulle vicende interne della flottiglia e non abbastanza sul genocidio in Palestina. Anche il giornalista e influencer Yusuf Omar ha annunciato su Instagram l’abbandono della navigazione per ragioni di “strategia comunicativa”, dopo che il suo stile sensazionalista e molto centrato sui volti noti della missione aveva fatto infuriare diversi partecipanti. In aggiunta a questi episodi c’è da segnalare l’inadeguatezza di alcune imbarcazioni e di una parte dei partecipanti che hanno evidentemente sottovalutato la difficoltà anche tecnica di una navigazione che, al di là di tutto, rimane comunque impegnativa e adatta a chi ha una pregressa esperienza.
Al prescindere della riuscita dell’operazione (consegnare derrate alimentari alla popolazione) che è evidentemente un obiettivo altamente improbabile da raggiungere, c’è una dimensione politica e simbolica fondamentale nell’iniziativa, che mira a richiamare l’attenzione sulla situazione a Gaza e a sfidare la legittimità del blocco navale. La parola “sumud” (fermezza) scelta per il nome dell’iniziativa racchiude il concetto arabo di perseveranza, resilienza e determinazione.
La Global Sumud Flotilla rappresenta un atto di coraggio civile di fronte a una tragedia umanitaria di proporzioni storiche, la carestia a Gaza che secondo le stime colpisce oltre mezzo milione di persone. “Sappiamo dall’inizio che Israele non ci lascerà entrare nelle sue acque, ma vedremo poi nella pratica cosa faranno, perché non sarà semplice nemmeno per loro far fronte a una flotta con tante imbarcazioni. Ci siamo preparati per i vari scenari” come ha dichiarato Fabrizio Ceppi uno degli skipper impegnati nella missione.
Il viaggio della flottiglia rimane una sfida tanto simbolica quanto concreta, che mette in luce non solo la disperata situazione di Gaza ma anche le difficoltà dell’azione civile di fronte a complesse realtà geopolitiche. Gli attacchi di una parte della stampa e della politica mette a rischio l’operazione di un ritorno negativo di immagine, nessuno dei suoi detrattori, infatti, terrà in considerazione il fatto che la valenza dell’iniziativa rimane tale a prescindere dal raggiungimento dello scopo finale.
Qualsiasi difficoltà o una eventuale interruzione della missione verrà letta come la prova dell’inutilità della stessa e del velleitarismo dei promotori. In attesa di unirsi alla flotilla è ferma davanti alle coste siciliane anche la nave di Emergency “Life Support” normalmente operante nel sud del Mediterraneo in missioni di soccorso e recupero di naufraghi. Anche per la ONG italiana sarà importante che l’iniziativa vada avanti regolarmente e nei tempi previsti per evitare di distogliere per troppo tempo la nave dalla sua normale attività e per evitare che un eventuale fallimento della missione possa avere ricadute di immagine sull’associazione e sulle prossime missioni in zona SAR.
Come si vede questa missione è spinta più dall’ottimismo della volontà che, come sarebbe forse maggiormente auspicabile, dal realismo dell’intelligenza. Comunque vada era giusto provarci, buon vento.




