Editoriale

In genere si nasce sani

Lo Spi, Società Italiana di Psicoanalisi, torna a far parlare di sé inserendosi a gamba tesa sui dubbi di genere o, sarebbe meglio specificare, presunti tali. Sì perché a volte l’incertezza, con possibili conseguenti disturbi, te la fanno venire. Ne son certi quasi tutti i medici che incontriamo all’ospedale San Giovanni, nei Dipartimenti di Salute Mentale presso varie Asl del Lazio e in strutture residenziali per adolescenti. Sono loro i primi ad essere allarmati per le dichiarazioni dello Spi. “Non bastassero i danni inferti negli ultimi decenni – dichiarano gli psicoterapeuti che hanno in cura tanti ragazzi – ostacolando la ricerca psichiatrica e la cura della malattia mentale, ora questa società privata di psicologi s’insinua velenosa, come nel ’68, nel perimetro della salute che non gli compete: loro fanno assistenza, si prendono cura, non curano”.  Non se le mandano a dire insomma tra psicoterapeuti e psicoanalisti.  Media, cinema e pubblicità pare non aiutino a far chiarezza. Non son pochi a puntare il dito contro la Tv e le sale cinematografiche. “Una cultura perniciosa – evidenzia il personale sanitario di comunità terapeutica romana che vuol restare anonima –  avallata da opinion leader, star dello spettacolo e tanti blogger  infonde un’insicurezza tale tra i giovani che spesso, andando in crisi, si ritrovano ad affollare le sale d’aspetto degli ospedali. E in quel caso – sottolineano – la qualità della loro vita futura dipende totalmente dal medico di turno che incontrano”. Attenzione, si sta parlando di malattia mentale non di Covid, ma l’effetto risulta quasi essere ugualmente pandemico. Non si esaurisce qui la reazione degli esperti. “Infondate dal punto di vista scientifico e ingiustificatamente allarmistiche”. E’ così che in una lettera inviata questa settimana al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al ministro della Salute Orazio Schillaci, la Società Italiana di Endocrinologia (Sie), la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (Siedp) – insieme alla Società Italiana Genere, Identità e Salute (Sigis), la Società Italiana di Pediatria (Sip) la Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (Siams), e l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (Onig) – si schierano contro le dichiarazione della Società Psicoanalitica Italiana sul rischio di danni fisici e psichici dei farmaci bloccanti la pubertà nei bambini e negli adolescenti con disforia di genere, cioè che soffrono perché non si riconoscono nel sesso di nascita. “Riteniamo che la posizione della Spi contenga errori di interpretazione e imprecisioni in contrasto con i dati scientifici ad oggi disponibili – dichiarano Annamaria Colao, presidente Sie, e Mariacarolina Salerno, presidente Siedp -. Gli studi di follow up, infatti, dimostrano che i trattamenti con farmaci bloccanti la pubertà sono reversibili, consentono di guadagnare tempo per riflettere in modo consapevole sulla scelta di cambiare sesso e sono in grado di ridurre in modo significativo depressione, rischio suicidario e comportamenti autolesivi negli adolescenti trattati”. Nella lettera al Governo gli esperti precisano che i farmaci vengono somministrati sempre in casi selezionati, con profondo disagio, approfonditi e studiati da un’equipe multidisciplinare, come descritto dalla Determina dell’Aifa. “Il trattamento con i farmaci bloccanti la pubertà in adolescenti con disforia di genere non è peraltro in sperimentazione, come erroneamente descritto dalla Spi, ma è stato autorizzato dal Comitato Nazionale di Bioetica nel 2018 e approvato da Determina dell’Aifa nel 2019, nonché sostenuto da raccomandazioni scientifiche anche internazionali e già ampiamente utilizzato nella pratica clinica”, puntualizzano Colao e Salerno. Inoltre, si sottolinea nella lettera, gli interventi per lo sviluppo del blocco puberale sono prescrivibili solo a pubertà già avviata su adolescenti che abbiano già iniziato lo sviluppo puberale (stadio 2 di Tanner). Contraddittoria anche la considerazione secondo cui sarebbe sbagliato basare la valutazione dell’identità di genere sulle affermazioni del soggetto: l’auto-percezione di sé è infatti anche alla base di tutte le valutazioni in psicologia, anche all’interno dello stesso approccio psicoanalitico.
“Tutto questo rischia di creare un allarme ingiustificato nei ragazzi con disforia di genere in cui è presente una profonda sofferenza psichica legata anche al pregiudizio e allo stigma di chi nega che l’identità sessuale possa essere incongruente con il sesso assegnato alla nascita”, concludono Colao e Salerno. Così gli esperti a microfono acceso. Poi, con la delicatezza del caso, altri loro colleghi ci spiegano che non sono pochi i ragazzi che per centomila motivi si sono ammalati temendo di essere omosessuali; angoscia “confermata”, magari, dalla prima crisi col diverso da sé. “E in quei casi dopo l’ospedalizzazione, per fortuna, si può impostare – spiegano – una cura che tende alla guarigione”.
Tutto ciò quasi a voler dire che se Freud era un imbecille considerando l’inconscio naturalmente perverso, i suoi seguaci non lo sono da meno. Considerazioni pesanti, ma d’altronte non si è mai saputo niente del genere.

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