Leggere le ultime esternazioni dell’ineffabile presidente dell’Ucraina, Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj, all’ultimo vertice della NATO fa uno strano effetto a noi che siamo solo spettatori del massacro che si sta compiendo nelle steppe e nei villaggi ucraini, immaginiamo cosa devono pensare i cittadini di quelle regioni e dell’intero ascoltando affermare, dopo che per quasi tre anni ha ripetuto che l’unica prospettiva era la vittoria sulla Russia: “Non abbiamo le forze per riprendere il Donbass e la Crimea”. Questo significa che l’epilogo di questa tragedia sarà, o almeno così si prospetta, una forma di autonomia di quell’area che comprende gli oblast’ di Donec’k e Luhans’k e il riconoscimento di fatto del referendum del 2014 che certifica la volontà della stragrande maggioranza degli abitanti della Crimea di tornare da dove erano venuti e cioè alla Russia.
La domanda a questo punto sorge spontanea: scusate ma non era proprio questo che stabilivano i due accordi di Minsk? Vediamo di fare chiarezza. Gli accordi di Minsk sono stati una serie di intese negoziate per cercare di porre fine al conflitto armato tra l’Ucraina e i gruppi separatisti filorussi nelle regioni orientali del Donbass (Oblast di Donetsk e Luhansk). Sono stati stipulati in due momenti distinti. Il primo accordo è stato firmato il 5 settembre 2014 a Minsk, Bielorussia, sotto l’egida dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), e prevedeva il cessate il fuoco immediato, il ritiro delle armi pesanti da entrambe le parti dalla linea del fronte, una maggiore autonomia alle regioni di Donetsk e Luhansk da parte dell’Ucraina, la liberazione di tutti i prigionieri detenuti dalle parti, la garanzia di elezioni locali nelle aree controllate dai separatisti, in linea con le leggi ucraine. Questo primo trattato, però, fallì presto a causa delle continue violazioni del cessate il fuoco.
Il 15 febbraio 2015 è stato negoziato un nuovo accordo, firmato dal “Quartetto Normandia” (Ucraina, Russia, Germania e Francia) che prevedeva, in aggiunta al trattato precedente l’introduzione di uno status speciale per queste regioni, previa riforma costituzionale in Ucraina. Anche questo secondo accordo non ha raggiunto i risultati sperati in quanto Ucraina e Russia avevano interpretazioni differenti dei termini, specialmente riguardo al controllo del confine e alla sequenza delle riforme politiche necessarie all’attuazione del piano. Gli accordi, pertanto, non sono riusciti a risolvere definitivamente il conflitto, lasciando il Donbass in una situazione di “conflitto congelato” fino all’invasione su larga scala della Russia in Ucraina nel 2022.
Capitolo a parte è il referendum per l’annessione della Crimea alla Russia che si è svolto il 16 marzo 2014. Questo evento è stato estremamente controverso e non riconosciuto dalla maggior parte della comunità internazionale per diverse ragioni legate al contesto politico, alle modalità di svolgimento e al diritto internazionale nonostante la storia del passaggio amministrativo della Crimea all’Ucraina fosse ben chiaro a tutti. La Crimea è passata sotto il controllo dell’Ucraina nel 1954, durante l’era sovietica, per decisione Presidium del Soviet Supremo dell’URSS il 19 febbraio di quell’anno. Questo trasferimento fu giustificato come un gesto simbolico per commemorare il 300° anniversario del Trattato di Perejaslav (1654), che segnava l’unione storica tra l’Ucraina e la Russia.
La Crimea ha una popolazione a maggioranza etnica russa (circa il 60 per cento) che è stata chiamata a scegliere tra l’annessione alla Russia o un ritorno alla Costituzione del 1992, che avrebbe dato maggiore autonomia alla Crimea pur rimanendo parte dell’Ucraina. I risultati ufficiali hanno dichiarato che oltre il 95 per cento dei votanti si è espresso a favore dell’annessione alla Russia, con un’affluenza dichiarata molto alta. L’Ucraina non ha autorizzato il referendum, rendendolo illegittimo dal punto di vista del diritto costituzionale ucraino pertanto le Nazioni Unite hanno dichiarato il voto nullo. La Russia, da parte sua, ha giustificato l’annessione con il principio di autodeterminazione dei popoli, sostenendo che il referendum rifletteva la volontà della popolazione della Crimea.
E fino a qui siamo sul piano ormai della storia. Per venire a fatti più recenti, secondo alcune fonti e dichiarazioni pubbliche, nei primi mesi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, ci sarebbero stati tentativi di negoziare un accordo tra Ucraina e Russia. Usiamo il condizionale per serietà e prudenza, ma questo episodio è stato confermato da diverse fonti autorevoli. Nei mesi di marzo e aprile 2022, ci furono negoziati diretti tra delegazioni ucraine e russe, principalmente a Istanbul e in Bielorussia. Questi incontri sembravano mirare a una possibile soluzione diplomatica per fermare la guerra. L’Ucraina si sarebbe detta disposta a discutere alcune concessioni, tra cui la neutralità (cioè la rinuncia a entrare nella NATO) in cambio di garanzie di sicurezza da parte di potenze internazionali. La questione delle regioni separatiste di Donetsk e Luhansk, così come della Crimea, sarebbe stata oggetto di discussioni ulteriori.
Alcuni analisti e media internazionali hanno riportato che durante un incontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il primo ministro britannico Boris Johnson, tenutosi a Kiev nel marzo 2022, Johnson avrebbe dissuaso Zelensky dall’accettare un accordo con Mosca. Secondo queste fonti, Johnson avrebbe affermato che la Russia non era affidabile e che l’Occidente non avrebbe sostenuto un’intesa che lasciasse inalterati i guadagni territoriali russi. Johnson avrebbe garantito che l’Occidente avrebbe fornito all’Ucraina un massiccio supporto militare e finanziario per resistere. Zelensky e i leader ucraini hanno, in quella occasione, affermato che il loro obiettivo era respingere l’invasione russa piuttosto che accettare compromessi territoriali. L’accordo di pace proposto sarebbe stato, secondo loro, difficilmente accettabile per il popolo ucraino, che si opponeva fermamente a cedere territorio.
Senza voler dare troppo peso e credito alle opinioni di molti autorevoli osservatori i quali affermano che i trattati di Minsk furono sabotati da USA e Gran Bretagna per prendere tempo e rinforzare le difese militari ucraini in vista di una guerra contro la Russia congeniale agli interessi occidentali, c’è da dire che la sequenza dei fatti fin qui elencati stride e non poco con la posizione che Zelensky ha assunto in tutti questi anni: la vittoria sulla Russia non solo non era l’unica opzione, ma non era neppure così sicura come lui e troppi opinionisti e intellettuali hanno fatto credere all’opinione pubblica occidentale. Per ritornare al nostro ipotetico cittadino ucraino, dopo avergli detto che la vittoria sarebbe stata la ricompensa di tante atrocità, deve adesso accettare che le centinaia di migliaia di morti e le tante devastazioni sono state una sorta di gioco dell’oca dove, alla fine, si torna da dove si è cominciato.
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