Editoriale

La sessualità inutile realizza la differenza dagli animali. Lo sanno anche i talebani. Parola d’ambasciatore Ahmed Zekriya

Ieri, 17 novembre, si è svolto nella Sala Maestra di Palazzo Chigi a Ariccia un convegno dal titolo “Donne al centro” promosso da due associazioni “Nice to meet you” e “Vivere impresa”. Il tema è stato quello di “conoscere meglio il mondo femminile nel contesto odierno”. Visto l’argomento, desta particolare curiosità la partecipazione, tra gli altri, dell’ambasciatore dell’Afghanistan Khaled Ahmed Zekriya. Ci si sarebbe aspettato da lui un tentativo di sminuire la misoginia del governo al potere nel suo Paese cercando magari di contestualizzare accusando i media di distorcere la realtà. Ha, invece, destato grande stupore il fatto che il suo intervento abbia non solo ripercorso con fedele attribuzione di meriti la storia dell’Afghanistan ma anche ammesso le colpe dei talebani nella repressione delle donne dandone approfondite spiegazioni e auspicando azioni che lui stesso ha definito illegali per sostenere il percorso di formazione delle donne afghane alle quali è negato il diritto all’istruzione.

Ripercorrendo alcune fasi salienti della storia dell’Afghanistan ha ricordato come re Amānullāh Khān già nel 1919 avesse intrapreso una serie di riforme per modernizzare il Paese che portarono, nel campo dei diritti, all’accesso all’istruzione delle donne. Ha ricordato che nel 1938 un gruppo di studentesse fu inviato in Turchia per completare gli studi, evento eccezionale per l’epoca. Ha dato merito al re Mohammed Zahir Shah che regnò dal 1933 al 1973 per il lungo periodo di stabilità che il Paese visse ed ha ricordato la condizione delle donne durante il governo di Mohammed Daud Khandiede che diede vita alla prima repubblica. L’ambasciatore ha poi sottolineato come Nur Mohammad Taraki proseguì succesivamente nell’azione di riforme per dare pari dignità a entrambi i generi permettendo di vivere alle donne come fossero cittadine occidentali dell’epoca.

Già questa ricostruzione, fatta dal rappresentante del governo talebano, ha suscitato scalpore e curiosità, ma era solo l’antipasto.  Zekriya ha continuato il suo intervento analizzando le ragioni per le quali i talebani sono un gruppo così fortemente misogino. Tra queste molta importanza l’ha attribuita al fatto che molti di loro sono orfani che hanno vissuto tutta la loro gioventù e la loro formazione all’interno delle “madrase”, una sorta di convitto musulmano ove si impartiscono insegnamenti di religione e diritto senza alcun contatto con l’altro sesso. In quelle istituzioni il ruolo della donna viene considerato solo dal punto di vista procreativo e non le viene riconosciuto alcun diritto. Questo tipo di formazione costituisce un substrato culturale che impedisce ai talebani, una volta adulti, di considerare la donna nulla più di un oggetto. L’ambasciatore ha fatto poi riferimento alla pedofilia come pratica piuttosto diffusa nelle madrase. La colpa di questa situazione è da ricercare secondo lui in una interpretazione distorta del Corano e dei dettami dell’Islam. I talebani secondo l’ambasciatore Zekriya temono che l’istruzione possa portare le donne ad attuare forme di protesta e possa far si che dalla loro educazione escano figli con una visione più aperta e idee a loro contrarie oltre a temere l’indipendenza economica delle donne.

Un ruolo importante in questa fase lo gioca il Pakistan che vede i talebani al potere con favore in quanto allontana il Paese da un possibile riconoscimento da parte della comunità internazionale favorendo l’influenza del Pakistan della quale l’Afghanistan non può fare a meno. Non ci sono speranze che questo oscurantismo possa allentarsi. Secondo l’ambasciatore Zekriya i talebani moderati non esistono, ci sono solo alcuni giovani più pragmatici, ma nulla di più.

A fronte di tutto questo la proposta che l’ambasciatore avanza è quella di aiutare le donne anche in maniera clandestina, favorendo la loro formazione attraverso il web e con micro progetti di artigianato e agricoltura come forma di riscatto sociale ed economico. Un’idea è quella di organizzare una rete di “scuole sorelle” come le ha chiamate, istituti che dall’estero si facciano carico di cercare forme di collaborazione con gruppi di donne all’interno del Paese. Da parte sua sta cercando di istituire borse di studio per giovani donne e sta lavorando ad un protocollo d’intesa con l’università di Teramo per attivare forme di collaborazione con istituzioni afghane che ancora possono disporre di una qualche autonomia.

Insomma un intervento straordinario da tutti i punti di vista. Intanto per il coraggio di prendere posizioni così critiche verso il proprio governo e poi per la lucidità con la quale ha analizzato sia la storia che l’attuale situazione del suo Paese. Al termine, avendo la possibilità di avvicinarlo, oltre a congratularmi ho espresso la mia sorpresa per un discorso lontanissimo dalle mie aspettative iniziali. A quel punto non potevo farmi sfuggire l’occasione per chiedergli se queste sue posizioni e idee non siano in contrasto con il ruolo di rappresentante del governo talebano. Mi ha risposto che non ha problemi ad operare in questo senso ma che teme invece per le scarse risorse economiche delle quali la delegazione afgana presso la Repubblica italiana dispone. “Non ho problemi a dire queste cose, ma non so per quanto tempo ancora potrò farlo”.

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