Mondo

L’opera buffa del mercato delle armi

Questa è una storia interessante e, a suo modo, buffa (almeno così pare a me. Ma io ho uno strano senso dell’umorismo. Forse non è buffa).
In foto, i presidenti del Kazakistan e dell’Azerbaijan, rispettivamente da sinistra a destra Qasym-Jomart Toqaev e İlham Əliyev, mentre conversano amabilmente nel corso del loro ultimo incontro: e conversano non in russo, che è la lingua d’elezione per le relazioni nell’area ex-sovietica (con l’eccezione dei nativisti baltici) ma ognuno nella propria. Poiché sono entrambe lingue turciche (l’azero appartiene al gruppo delle lingue oghuz, come il turco, il kazako a quello delle lingue kipchak) fanno finta di capirsi, e un po’ ci riescono. Si capirebbero meglio in russo, questo è poco ma sicuro. La decisione, più che dalla volontà di fare uno sgarbo alla Russia, come i nostri ineffabili analisti suppongono, rientra nella rinnovata attrazione che il turanismo sta esercitando nella regione: che lo eserciti sull’Azerbaijan non è una novità, che lo eserciti sul Kazakistan un po’ lo è. Il turanismo è, per intenderci, il panslavismo in salsa turca: tutti i popoli turcici condividono la stessa essenza e lo stesso destino e devono mettere da parte le loro differenze e unirsi in un movimento di rinascita – guidati, naturalmente, dal popolo turcico che maggiormente è cosciente di questo destino, ovvero la Turchia. A Recep Tayyip Erdoğan, inutile dirlo, piace questo elemento, tanto da averne fatto uno dei pilastri della sua politica estera (indovinate un po’ anche a chi piace moltissimo? A Viktor Orbán). I legami tra Turchia e Azerbaijan sono conclamati, anche e soprattutto dal punto di vista della collaborazione militare; il Kazakistan finora non si era tanto fatto irretire, non solo perché il vecchio presidente, Nursultan Nazarbaev, si trovava bene come alleato di Mosca, ma soprattutto perché temeva di venire risucchiato in una coalizione politico-militare il cui nemico principale è l’Iran, col quale non è mai troppo il caso di scherzare, e soprattutto in cui comanda la Turchia. E infatti nel 2006 Nazarbaev propose la creazione del Consiglio di Cooperazione dei Paesi Turcofoni, più in breve Consiglio Turco (l’Ungheria ne fa parte come stato osservatore), sperando di dirottare l’iniziativa turanica in mano sua – con scarsissimi risultati.
Qasym-Jomart Toqaev ha evidentemente altre idee e sta cercando di ritagliarsi spazi di autonomia dalla Russia, nonostante il Paese resti uno dei membri della OCS (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) e soprattutto dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), cioè l’alleanza militare a guida russa delle repubbliche ex-sovietiche di cui l’Azerbaijan invece non fa parte (ma perché ne fa parte l’Armenia) insieme ai baltici, all’Ucraina, alla Georgia e all’Uzbekistan. L’OTSC, ricordiamo (e non “la Russia”), è intervenuto in Kazakistan proprio in difesa di Toqaev durante i disordini del gennaio 2022.
Non è questa la cosa buffa. Tra gli spazi di cui sopra, va segnalata una politica a dir poco ambigua riguardo alla questione ucraina. Da tempo il Kazakistan era sospettato di avere una politica molto più favorevole all’Ucraina di quanto la sua posizione ufficiale facesse trasparire, e negli ultimi giorni la cosa è venuta fuori. Nel mese di maggio la Gran Bretagna aveva lanciato l’idea di recuperare in giro vecchi armamenti sovietici e destinarle all’Ucraina. La proposta, almeno ufficialmente, era diretta ai paesi ex-patto di Varsavia e ora membri della NATO che però ne avevano, o avevano dichiarato di averne, molto pochi e in cattivo stato. Ma il Kazakistan è uno dei Paesi in cui c’è la più alta concentrazione di armi sovietiche, un quantitativo spropositatamente alto per le necessità del suo esercito, e che occupa un sacco di spazio – e siccome sono armi vecchie è necessario perderci tempo per la manutenzione, c’è il rischio di incidenti eccetera. Insomma, meglio sbarazzarsene. E quale migliore occasione di questa? A giugno la ditta kazaka Technoexport ha venduto alla ditta giordana Blue Water Supplies munizioni da 122 mm per gli obici D-20 e munizioni da 152 mm per gli obici D-30, per un totale di 20.000 proiettili, e 33.000 missili per i sistemi GRAD. Il costo totale dell’operazione, supervisionata dal ministro della difesa kazako e, chissà perché, dall’attaché militare dell’ambasciata britannica in Kazakistan è stato di 70 milioni di dollari. Sempre chissà perché, i documenti della transazione sono andati a finire nei computer dell’intelligence ucraina, dove gli hacker russi del gruppo “Beregini” (esistono, gli hacker russi, non sono un’invenzione del PD) li hanno trovati. Hanno trovato anche tracce di una seconda spedizione non ancora effettuata e ben più grande della prima, che stavolta aveva come oggetto 200 veicoli blindati, munizionamento per mortai da 120 mm e missili anticarro Konkurs.
Scoppiata la bomba (metaforica) il Ministero kazako dell’Industria e delle Infrastrutture ha ovviamente negato tutto, ma si è un po’ confuso: ha infatti dichiarato di non aver concesso licenze per l’esportazione di armi in Gran Bretagna, ma la ditta che formalmente le ha acquistate è giordana e le autorizzazioni, inutile dirlo, le aveva. Ma non è tutto. Continuando a scavare, gli hacker hanno trovato anche un altro affare in procinto di partire e gestito dagli USA che, attraverso una ditta stavolta bulgara (ma i cui titolari sono tutti cittadini ucraini) volevano acquistare aerei SU-27, motori e pezzi di ricambio per gli stessi, e motori per elicotteri Mi-24. A questo punto Putin ha chiamato Toqaev, il ministro degli esteri russo ha chiamato il suo omologo kazako e la faccenda è morta lì. E giusto per stare sul sicuro, il Kazakistan ha annunciato che sospenderà l’esportazione di armi ed equipaggiamenti fino alla fine di agosto. Agosto 2023.
Non è questa la cosa buffa.

Nel 1999 il Kazakistan ha venduto, in barba a qualsiasi sanzione, alcuni Mig-21 alla Corea del Nord. La cosa, ovviamente, si è scoperta quasi subito e con gran scandalo. Indovinate chi era il Ministro degli Affari Esteri, che è riuscito non solo a non venire licenziato ma addirittura a diventare Primo Ministro nel successivo rimpasto di governo? Lui, Qasym-Jomart Toqaev.

Francesco Dall’Aglio

Condividi