Economia

Affitti turistici, la soluzione è dietro l’imposta

Durante la trasmissione radiofonica del 15 novembre “24 mattina” sull’emittente della Confindustria Radio 24 Paolo Mieli ha accennato ad un intervento del Cardinale Bucci contro la trasformazione di molti appartamenti, specialmente nelle zone turistiche, in residenze turistiche, affitti brevi e quant’altro. Sorprende che l’autore di questa reprimenda sia il rappresentante di una organizzazione religiosa che non ha esitato a liberarsi dell’ingombrante presenza di prelati e suore numerosi edifici per trasformarli in residenze per turisti in vista dello scorso Anno santo e altrettanto si appresta a fare per il prossimo.

Edifici, peraltro, esonerati dal pagamento delle imposte sugli immobili e per questo in grado di esercitare una concorrenza sleale nei confronti del mercato turistico altrimenti regolamentato. Non volendo, però, limitare questa riflessione all’ambito ecclesiastico (le accuse di anticlericalismo sono sempre dietro l’angolo) sarebbe utile esaminare quali sono le reali motivazioni sia per l’aumento delle residenze turistiche sia della crisi del mercato degli affitti.

Il detonatore di questa espansione di affitti turistici è stata la nascita delle piattaforme di offerta turistica diretta, non intermediata dalla rete degli operatori turistici classici. Organizzazioni come Air B&B e Booking solo per citare i più conosciuti hanno fatto sì che un privato proprietario anche di un singolo appartamento possa offrire i suoi servizi direttamente gestendo l’offerta con la massima libertà determinando costi e condizioni di utilizzo dell’immobile. Nonostante ciò che si crede l’incasso netto (tolte quindi il costo dell’intermediazione del portale, le spese di check in e check out, la lavanderia ecc) non è di molto superiore a quello che si otterrebbe proponendo l’immobile in affitto a lungo termine.

Uno dei fattori determinanti nella scelta della destinazione d’uso è la difficoltà di rapporto con l’inquilino, in maniera particolare nell’eventualità di una insolvenza da parte di quest’ultimo. Innumerevoli sono i casi di contenziosi che si protraggono per anni con aggravio di spese legali oltre al mancato incasso del canone. A sentire i proprietari degli immobili questa sembra essere la maggiore preoccupazione. E non hanno tutti i torti, l’incapacità della nostra classe politica di affrontare l’annoso problema del diritto alla casa ha fatto sì che si caricasse quasi per intero sulle spalle dei privati l’onere della soluzione del problema.

La storia delle politiche per la casa in questo Paese è da sempre travagliata e contraddittoria. Nei primi anni del dopoguerra con la l. 28 febbraio 1949 nr. 43 il Parlamento italiano approvò il progetto di legge “Provvedimenti per incrementare la costruzione di case per lavoratori”, con il quale si sarebbe dato avvio a un piano per la realizzazione di alloggi economici, noto come piano INA-Casa altrimenti detto piano Fanfani che portò alla creazione di oltre 2 milioni di unità immobiliari. II decennio 1970-1980 fu caratterizzato dall’inflazione galoppante che creò molte difficoltà negli appalti, costringendo gli Istituti autonomi case popolari (IACP) alla continua ricerca di finanziamenti integrativi per poter portare avanti i programmi di edilizia popolare.

Agli inizi degli anni 80 si ebbe una inversione di tendenza con l’emanazione di alcune leggi che modificarono il sistema dei finanziamenti che permise un intensificarsi dell’attività costruttiva. Ciò nonostante il patrimonio immobiliare pubblico è andato, da quel momento, gradualmente degenerando e molti degli immobili sono stati venduti agli affittuari per consentire il reperimento di risorse per la manutenzione del restante patrimonio. La conclusione di tutto questo percorso è che attualmente siamo di fronte ad una vera e propria emergenza abitativa alla quale si contrappone l’enorme numero di immobili vuoti e, per l’appunto, una crescita esponenziale di alloggi turistici.

Le soluzioni a questi problemi ci sono e vanno da una azione sulla leva fiscale che potrebbe prevedere l’aumento della tassazione per le case sfitte (almeno nelle grandi aree urbane che sono quelle più colpite dal problema) alla costituzione di un fondo di garanzia che tuteli i proprietari da eventuali insolvenze dei locatari. Da una parte si deve incentivare i proprietari a concedere in locazione gli immobili dall’altra bisogna fare in modo di tutelare i diritti di questi ultimi relativi all’incasso dei canoni e al rientro della disponibilità degli immobili in caso di necessità.

Se si creassero queste condizioni il differenziale di rendimento sia in termini economici che normativi tra affitti brevi e contratti a lungo termine si ridurrebbe inducendo i proprietari a orientarsi maggiormente su questi ultimi. Demonizzare gli affitti turistici è un esercizio antistorico visto l’andamento globale del mercato turistico senza considerare che in uno stato liberale ed in una economia regolata dalle leggi del libero mercato non si può non tenere in considerazione la libertà di utilizzo della proprietà privata. Gli strumenti, come si è detto, ci sono per orientare il mercato e tutelare sia la fascia più debole della popolazione sia i piccoli proprietari.

Un certo John Maynard Keynes già all’inizio del secolo scorso aveva tracciato una via per far coincidere questi due interessi all’apparenza inconciliabili. Su quelle idee nacquero le società socialdemocratiche del nord Europa, su idee simili si potrebbe riequilibrare un mercato attualmente fuori controllo.

 

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