Editoriale

PIANO CON MATTEI A forza di giocare con i cowboy, siamo diventati servi di due padroni

Nelle ultime settimane su questa testata abbiamo analizzato i cambiamenti che sono in corso all’intera dell’area del Sahel. Abbiamo visto come sono sempre più i paesi che si stanno affrancando dall’egemonia di potenze tradizionalmente colonialiste come la Francia. In politica come in natura il vuoto non esiste, gli spazi che vengono lasciati liberi vengono aggrediti da altri portatori di interessi. Nel caso dell’Africa in generale e di quella sub sahariana in particolare i paesi che maggiormente si stanno dando da fare per sostituirsi ai vecchi colonizzatori sono Russia e Cina con l’aggiunta recente della Turchia, con alcune differenze non da poco. La Russia si concentra più su aspetti militari e strategici, mentre la Cina privilegia l’economia e le infrastrutture, la Turchia per contro fa leva sulle assonanze religiose per inserirsi nella ricca partita.

La Russia cerca di espandere la sua influenza geopolitica in Africa, spesso attraverso accordi di cooperazione militare e la vendita di armi. Paesi come l’Egitto, l’Algeria e diversi stati dell’Africa subsahariana sono importanti partner per le esportazioni di armamenti russi. La presenza di mercenari del Gruppo Wagner (ora sotto controllo statale) in paesi come Mali, Repubblica Centrafricana e Libia ha rafforzato l’influenza russa, offrendo supporto militare e sicurezza in cambio di accesso a risorse naturali.

La Cina è il principale partner commerciale dell’Africa e uno dei maggiori investitori, con un focus su infrastrutture (strade, ferrovie, porti) e progetti energetici. La Belt and Road Initiative (BRI) è lo strumento principale per espandere la sua influenza economica. Pechino fornisce prestiti e finanziamenti a molti paesi africani, anche se questo ha portato a critiche per il cosiddetto “debt-trap diplomacy” (diplomazia del debito). La Cina è fortemente interessata alle risorse naturali africane, come petrolio, gas, minerali rari e metalli necessari per la sua industria high-tech. Paesi come Angola, Repubblica Democratica del Congo e Zambia sono suoi partner chiave.

Stranamente, ma non troppo, l’Italia in questa partita si troverebbe a poter giocare un ruolo importante. I nostri soldati hanno sostituito le truppe francesi in alcuni punti chiave specialmente per il controllo delle rotte dell’emigrazione come in Mali. Sono lontani, per fortuna, i tempi di Mussolini o di Giolitti quando l’Italia sognava di essere una grande potenza coloniale però in questo momento in cui le grandi potenze sono alla ricerca di gestire un territorio enorme in estensione quanto in opportunità economiche l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante essendo nel Sahel l’unico paese occidentale rimasto con una presenza significativa in termini militari e diplomatici.

Questa situazione è facilitata anche dalla decisione di tanti stati europei di chiudere le proprie ambasciate. C’è un altro elemento che spesso ci sfugge ed è che nel risiko africano i russi vedono di buon occhio l’Italia come veicolo di dialogo con gli Stati Uniti e non considerano in maniera ostile la presenza militare italiana.




Se noi avessimo una classe dirigente consapevole di tutte queste dinamiche, potremmo capitalizzare subito quanto sta accadendo tra Nord Africa e Sahel per porci non soltanto come un ponte tra i blocchi, ma anche per rappresentare un elemento di stabilità in un’area che presenta il più alto numero di guerre civili e di insorgenze etno-religiose al mondo. Sarebbe importante per l’Italia, in un continente del genere, saper fornire sicurezza e stabilità. In troppe occasioni l’Italia ha fatto accordi commerciali lasciando ad altri il ruolo politico e strategico, rimanendo spesso vittima. Basta vedere gli interessi di aziende come l’ENI troppo spesso compromessi per azioni militari e ribaltamenti di alleanze operate da altri: una su tutte la scellerata azione militare che ha portato alla fine del regime di Gheddafi il Libia.

Se questo governo avesse una anche minima idea di cosa poter fare dietro la facciata del cosiddetto “Piano Mattei”, oltre a risibili iniziative come i campi di detenzione in Albania, potrebbe davvero esercitare un ruolo importante, ma tant’è: la nostra classe politica è quella che è; abbiamo subito rincorso quel che consideriamo il carro del vincitore, gli USA, e adesso ci ritroviamo nel ruolo, imbarazzante, di outsider nel momento in cui la politica commerciale dell’amico a stelle e strisce rischia di ricompattare i paesi europei per far fronte a un attacco senza precedenti contro il progetto comunitario. Altro che giocare un ruolo importante in Africa, qui c’è da cercare di non rimanere isolati in Europa.









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