Le vere ragioni e le strategie intorno a questo nuovo conflitto mediorientale si conosceranno tra diversi anni quando si potrà avere accesso ai documenti che in questi giorni vengono prodotti e regolarmente secretati. Ma si può fare una prima analisi sia dei motivi che delle conseguenze e dei rischi di questo conflitto.
Israele attacca direttamente l’Iran in un’operazione che chiama preventiva al fine di neutralizzare il nemico della regione attraverso attacchi alle infrastrutture strategiche del paese, le facilities nucleari e soprattutto colpendo target come le alte cariche del paese, funzionari e scienziati. Israele ha condotto la sua operazione in quartieri di Teheran dove risiedono gli altri dirigenti del paese, e come conseguenti effetti collaterali la morte e il ferimento di numerosi civili.

Il capo dello stato maggiore iraniano Hosseini Salami, secondo Tel Aviv è stato ucciso così come due dei più importanti ricercatori impegnati nello sviluppo del programma nucleare Fede Nabasi e Mohamed Mehdi. E’ rimasto, infine, ferito anche Ali Shamakhani, consigliere e guida suprema iraniana.
Gli israeliani affermano che la lista di leader iraniani assassinati è lunga e senza precedenti, e questo potrebbe giustificare la parziale, se non altro per ora, risposta coordinata dell’Iran, visto che è stato decapitato il vertice militare.
Tel Aviv si prepara al peggio, con i rifugi aperti e sirene che hanno suonato per tutta la notte. Gli Stati Uniti negano ogni coinvolgimento, Trump alla Casa Bianca in quelle ore ospitava un picnic alla Casa bianca, ma è difficile credere che un’operazione di questa portata sia stata pianificata senza un’intesa molto precisa con Washington. E questo è un problema non da poco per Trump che aveva messo in campagna elettorale al centro della sua politica estera il disimpegno USA dai vari teatri bellici per concentrarsi esclusivamente sulla contrapposizione alla Cina. Ma se è vero che gli Stati Uniti, come è stato dichiarato, non sono coinvolti in questa operazione è del tutto evidente che a questo punto è come se avessero accettato l’autonomia israeliana e la sua irremovibilità nel voler condurre questa operazione.
Le implicazioni geopolitiche sono innumerevoli. Una domanda da porsi è perché proprio ora. Vista la situazione a Gaza non sembrerebbe essere il momento migliore per allargare il coinvolgimento militare del Paese in altre aree. Ciò nonostante ci sono alcune ragioni che hanno suggerito a Netanyahu di avviare questa nuova operazione ora. La prima potrebbe essere l’apparente debolezza dell’Iran in questo memento. Il regime sciita ha perso alcuni dei suoi alleati nell’area, sono stati ridimensionati i suoi storici alleati palestinesi Hamas e Hezbollah e in Siria è caduto Bashar al-Assad. Un altro motivo può essere quello relativo agli equilibri interni al suo governo. Per reggersi al potere Netanyahu deve tenere insieme una coalizione eterogenea e la sua strategia fino a questo momento è sempre stata quella di alzare continuamente l’asticella dello scontro.
E’ comunque un’operazione che presenta numerosi rischi. L’Iran è un Paese Brics, questa è una variante che potrebbe sortire qualche sorpresa, come reagiranno gli altri Paesi membri di questa organizzazione? L’Iran inoltre controlla lo stretto di Hormuz crocevia importantissimo per il trasporto del greggio, se dovesse rendere non più sicura la navigazione in quell’area le conseguenze economiche sarebbero incalcolabili.
Ci sono poi le ricadute economiche del conflitto che già si stanno vedendo. La prima conseguenza diretta è che tutte le borse europee, ma anche quelle americane, sono andate in rosso. In generale agli speculatori le crisi internazionali non piacciono perché non riescono a capire dove allocare le loro risorse. Come risultato molti fondi stanno investendo sull’oro, sulle monete come il dollaro o anche lo yuan, la moneta cinese. Altra ricaduta la si vede sul prezzo del petrolio e del gas. Entrambi stanno salendo enormemente da due ragioni. La prima ragione è che l’Iran è uno dei principali produttori al mondo sia di petrolio che di gas. Il secondo motivo è che l’Iran, come detto, è a guardia dello stretto di Hormuz e questo rappresenta una notevole preoccupazione per chi opera nel settore energetico.
Chi guadagna da questa crisi invece sono gli altri produttori, ad esempio gli Stati Uniti e un convitato di pietra che è la Russia. Nelle ultime settimane l’Europa stava prendendo in considerazione una strategia per mantenere il prezzo del petrolio basso in modo da mettere in difficoltà le finanze russe. Questo attacco di Israele all’Iran invece agisce a favore delle casse di Vladimir Putin. In questo modo infatti la crescita del petrolio disinnesca qualsiasi strategia finanziaria che l’Europa volesse mettere in campo contro la Russia.
Nel disinteresse dei governanti, specialmente europei, che continuano a sproloquiare di faraonici investimenti in campo bellico, negli istituti di statistica si comincia a parlare apertamente di recessione. Da molto tempo gli esperti stanno ipotizzando l’entrata sia dell’area euro che degli Stati Uniti in recessione già per la fine del 2025. Anzitutto perché Trump ha scatenato la guerra dei dazi, e in secondo luogo per il protrarsi della guerra russo-ucraina. Ed ora c’è questo nuovo conflitto che può espandersi in un’area molto più ampia di quanto che si possa immaginare.
La situazione, come si vede, è veramente molto complicata, stiamo davvero rischiando un conflitto diretto tra le grandi potenze. La guerra tra Israele e Iran va ad aggiungersi all’altro grave focolaio, quello ucraino, dove l’Europa occidentale sembra sempre più spingere per l’intervento diretto. Insomma, ci sono tutti i presupposti perché si entri nell’era di una grande guerra globale e ibrida. Sarebbe davvero il caso che l’opinione pubblica mondiale cominciasse a svegliarsi.




