Editoriale

Salvini mangia tutti. Finora

Venne finalmente il giorno del giudizio e dopo il voto, i commenti. Mai come in questa occasione sembrerebbe semplice dare una valutazione sugli esiti della tornata elettorale di domenica. Salvini trionfa, Di Maio crolla, Zingaretti recupera. Ma in politica nulla è semplice e se si vuole dare una valutazione che vada un po oltre le percentuali dei vari partiti si devono prendere in considerazione anche altri fattori.

Il primo che sembra un’ovvietà è che queste sono state elezioni europee. Non che gli italiani se ne siano dati pena più di tanto, così come è successo per il referendum costituzionale che è diventato un referendum pro o contro Renzi, così le europee sono state trasformate da una campagna elettorale distorta in un referendum pro o contro Salvini.

Questo primo elemento di valutazione non è banale, se il 34,3 per cento della Lega appare a livello nazionale un risultato straordinario il fatto che a livello europeo il raggruppamento sovranista rappresenterà solo il 7 per cento nel Parlamento racconta un’altra storia (tanto è vero che stanno cercando di trovare un accordo con il Brexit party di Farage per dare un pò più di consistenza numerica al raggruppamento). E non è (o non dovrebbe essere) cosa da poco per un politico che ha detto di voler andare in Europa per rivedere i trattati e creare le condizioni per una maggiore flessibilità e autonomia nella gestione delle finanze in Italia.

Al netto del fatto che anche se ne avessero avuto la forza numerica sia i meccanismi decisionali sia i tempi lunghi di un eventuale cambio delle politiche economiche non avrebbero aiutato in nessun caso a risolvere i problemi seri che dovranno essere affrontati con la prossima legge di bilancio, in ogni caso a questo punto non hanno neppure la forza numerica per poterlo fare.

Insomma una scossetta al pachiderma è stata data ma non è stato un terremoto. Un altro punto di vista che riporta ad una più realistica lettura dei dati elettorali è quello dell’astensione. Ancora una volta l’Italia va in controtendenza rispetto agli altri paesi europei, è l’unico paese dove l’affluenza alle urne è stata in calo scendendo al 44%. Come può cambiare la lettura dei risultati il fattore astensionismo? Basterebbe un solo esempio per capire quanto l’astensione al 44% renda i ragionamenti sulle percentuali dei votanti del tutto forvianti: alle politiche del 4 marzo 2018 il Pd prese 6.161.896 voti, alle Europee di ieri, 6.045.723.

Se consideriamo il corpo elettorale e non la percentuale dei votanti ci accorgiamo che non c’è stato alcun recupero, il Pd di Zingaretti ha perso, rispetto a un anno fa, 116.000 voti. Guai a dio, poi, a voler fare ciò che sarebbe logico e corretto: paragonare i voti per uguali elezioni, in questo caso rispetto alle ultime europee il PD perdo oltre cinque milioni di voti. Ritarare i risultati dei vari partiti sulla base del corpo elettorale e non sulla percentuale dei votanti ci restituisce un interessante spunto di riflessione. Ragionando, infatti, sulla rappresentatività dell’intero corpo elettorale si deduce che la Lega ne rappresenta il 19%, il Pd il 12%, il M5S il 9,5%. Sono tutti partiti largamente minoritari nel Paese.

Traslando questo ragionamento alle precedenti elezioni europee vediamo come il PD di Renzi che con il suo 40,81 per cento dei voti fu considerato il grande dominatore di quelle elezioni, rappresentava soltanto il 23,3 cento del paese reale. Renzi si convinse di avere il consenso del 40 per cent degli italiani, e questo condizionò molto la sua politica che si caratterizzò per una sfida continua a tutto e tutti nella certezza di avere il paese dalla sua parte. Bastò poco per trasformare questa convinzione in una illusione prima ed in una cocente disillusione poi con le sconfitte che conosciamo.

L’astensionismo è un fattore estremamente fluido. Intanto perché non è detto che chi si astiene sia una persona indifferente e passiva. Nei movimenti, nelle associazioni, nel volontariato ci sono molte persone che non si sentono rappresentate dai partiti politici ma fanno sentire, e come, il loro peso nella società e la loro voce quando c’è bisogno di scendere in piazza. E poi questo è il tipico bacino di riferimento di partiti o movimenti che vogliano fare operazioni di ribaltamento dei rapporti di forza. Il M5S ad esempio, aveva intercettato da una parte il bacino degli astenuti e dall’altra la spinta dal basso di movimenti sociali trasformandoli nel suo successo alle politiche dello scorso anno.

L’incapacità dei suoi esponenti, la propria inconsistenza politica e l’alleanza con la Lega, hanno finito per deludere chi credeva davvero che Di Maio e compagni potessero portare una ventata di cambiamento, e molti che l’avevano votato se ne sono andati, ritornando ad astenersi o, verosimilmente, votando per Salvini.

La Lega ha preso circa nove milioni di voti pari al 19 per cento del Paese reale. In Italia siamo sessanta milioni. Salvini non ha con sé «gli italiani». Ha guadagnato voti e consenso, ma rappresenta un parte largamente minoritaria dell’intera popolazione, ha con se “solo” un elettore avente diritto su cinque. I suoi detrattori debbono sperare che lui non ne abbia piena coscienza e ripercorra il viatico che portò Renzi alla disfatta. Dopo tutto, diciamoci la verità, di fronte ad un quadro politico di questo tipo, è l’unica o una delle poche speranza che abbiamo.

 

 

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