Editoriale

E’crisi epocale, ma sono maschio, diverso da Salvini, e me ne vanto. Ammirazione e solidarietà per Elena Cecchettin

Non provo vergogna né sensi di colpa per essere nato maschio. Non è il maschio che uccide bensì la malattia mentale che si giova delle credenze religiose e della filosofia occidentale che, ancor oggi, impediscono di amare. Per paura di impazzire in pratica si impazzisce. E’ tuttora vietato aprire gli occhi sulla realtà umana grazie a secoli di oppressione culturale che siede dove trova posto tra gli scranni parlamentari. Non a caso mentre nei Territori occupati si consuma una strage di neonati, bambini, anziani e donne, qui da noi c’è una gara a chi la spara più grossa  sul fatto di cronaca  che, diversamente da quelli uguali identici che si registrano quasi ogni 48 ore, riempie i botteghini e fa aprire bocca pure ai porci. E come per la crisi umanitaria in Palestina dovremmo essere grati a tanti israeliani democratici per quel che dicono e fanno, così per questa dolorosa vicenda ci viene da abbracciare forte la sorella di Giulia sia perché ha subito scritto “E’ stato il vostro bravo ragazzo” sia per l’accusa lanciata oggi verso il viceministro nazionale. Lei a differenza di Elly Schlein e della “furba” Paola Cortellesi non fa alleanze con i fascisti. Non ci sta Elena Cecchettin, la sorella di Giulia uccisa a coltellate dall’ex fidanzato, a leggere le parole del vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini. «Se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita», ha scritto il leader della Lega su X commentando la notizia dell’arresto in Germania di Filippo Turetta, accusato di essere il responsabile del femminicidio della 22enne. «Dubita della sua colpevolezza perché bianco e perché di “buona famiglia”. Anche questa è violenza, violenza di stato», ribatte la sorella di Giulia Cecchettin condividendo un post di Carlotta Vagnoli.  Quest’ultima, scrittrice e divulgatrice femminista, tra le sue stories Instagram aveva commentato la dichiarazione di Salvini ricordando come «il suo partito a maggio ha votato contro la ratificazione della convenzione di Istanbul». Ovvero il trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. «Così – aveva aggiunto – nel caso voleste altri motivi per comprendere quanto il femminicidio sia un omicidio di Stato». Da qui in poi lascio volentieri la parola a chi potrebbe meglio di me raccontarci le storie di Ulisse e Breuer, Edipo e Freud nonché dei padri della Chiesa, Sant’Agostino e San Tommaso. Solo così potremmo davvero capire dove abbiamo fallito per tornare ad essere maschio e femmina con la certezza che l’uno va verso l’altro non per il principio del piacere, ma come realizzazione d’identità. Che è un’altra storia. Magari, d’amore, chi lo sà. Bisogna provare, provare, provare infinite volte sapendo che è un gioco fantastico dove però, bene saperlo, non si vince mai.

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